È tempo di highlights e tra ritorni di vecchie guardie, piccini che stravolgono le classifiche e contestazioni contro un mercato discografico infetto dall’internet, l’emotività non è mancata, e non è stata la sola 4AD a farcelo capire. La techno resta lì in mano al Jon Hopkins di turno che piazza anni di studio in qualche traccia vincolata da una ricerca aliena che la rende sacra come l’eucarestia. E poi c’è chi ne fa uso per testare i limiti delle casse dell’impianto nuove di zecca. Ma non tutti i dj vivono di bpm.
Stefan Kozella si è reso conto di avere un cuore enorme, una sensibilità da mostrare al mondo che ascolta e che si riconosce in “We’re all sensitive people, so much to give ”, che interpreta la vita come in ognuna delle 13 tracce di Amygdala, sognando.
Per le parti del cervello responsabili delle reazioni emotive e della memoria (le amygdalae appunto) tutto è lecito, anche fare techno e suonare solo all’alba dell’after, cambiarne i canoni e trasportarla in un contesto lontano dal buio di un sotterraneo. Prendete Magical Boy, un pezzo di rara bellezza che contamina una base deep di mille sonorità, con gli incisi vocali di Matthew Dear che si destreggiano in una trama complessa, unica come il resto degli altri dodici ipotetici singoli, resi immuni da ogni tecnicismo avanzato nonostante i featuring di peso. Koze è così riuscito a plasmare il suo essere visionario a musicisti e addetti ai lavori che se pur sopra le righe, mai si sono spinti così oltre, svolgendo sia il ruolo di direttore di orchestra eclettico e stravagante che quello di songwriter introverso, con l’abilità di cogliere tutto il buono che c’è negli ospiti di Amygdala. Tipo la passione reciproca per le sonorità con il Caribou un po’ Daphni di Track Id Anyone, l’orecchiabilità beat oriented delle cose che fa l’Apparat di Nice Wolkchen, la dubbia sessualità della voce di Milosh nell’ancor più dubbia capacità di Koze di emergere anche negli episodi più rilassati, tesi smentita dal R’n’B splendidamente contaminato di Homesick, e da Das Wort: intro in lingua crucca che ti aspetti Rammstein, e invece partono le lacrime di romantico gusto 50’s, un motivo che viene e va in 7 minuti in cui si toccano anche le radici hip-hop di un Dj Shadow osannato.
Con 8 anni di nascondino Koze si merita i riconoscimenti della sua creazione, da gustare fino al novantesimo, compresi i 10 minuti di techno sognante de La Duquesa e la scanzonata sampledelica in stile E* Vax di Don’t Lose Your Mind. In questa formula senza limite tutto è concesso, anche sfigurare il tedesco dalla sua indole fonetica dittatoriale, sdolcinandolo in Ich Schreib Der Ein Buch 2013 che a confronto anche la voce cupa di Dear in My Plans sembra godere di giovinezza insieme agli schiamazzi infantili.
Amygdala in fondo si prende poco sul serio. E’ una festa in maschera con Koze travestito da Jens Lekman, che si è divertito sì a giocare con i sentimenti, ma restituendo un esempio di songwriting (“When I’m climbing lemon trees of feeling/time on my hands when I’m running out of faith”) notevole. Magari sarà l’anno zero solo per lui, ma resta comunque da incorniciare.
Tracce consigliate: Das Wort, Magical Boy, Ich Schreib Der Ein Buch 2013