I Moderat smettono di essere un side project dei Modeselektor e di Apparat e diventano una vera band: II non è più, come nel il debut LP del 2009, l’incontro tra due progetti elettronici diametralmente opposti, ma è il frutto del lavoro in studio di tre anime che lavorano insieme. Se nel self titled l’elettronica aggressiva e spavalda dei Modeselektor e quella sognante e profonda di Apparat convivevano pacificamente come due entità in simbiosi ma diverse tra di loro, qui le due entità si compenetrano fino a diventare una sola: una mescolanza di techno, ambient, dub, 2step, UK garage, pop, soul e molti altri ingredienti che, dosati alla perfezione, consacrano definitivamente il sound che, pur così vario, non manca mai di coerenza e anzi rende i Moderat unici e imprescindibili.
Se nello scorso album la cacofonica dolcezza di Apparat era stata un punto di forza, in particolar modo negli infiniti paesaggi sonori, qui rischia di diventare, a un primo approccio, il difetto di II. Dopo aver creato un brano come Rusty Nails, Sascha Ring si è montato la testa, come si è visto con la trasposizione live con band del suo ultimo album solista The Devil’s Walk di due anni fa e con l’ancor più ambizioso progetto Krieg Und Frieden di quest’inverno, quasi a voler mettere bene in chiaro la sua onnipotenza artistica. Cercando di replicare la disarmante emotività di Rusty Nails era quasi finito per diventare stucchevole e invece il miracolo è riuscito un’altra volta: Bad Kingdom è né più né meno il pezzo che Thom Yorke sta cercando di scrivere da sei anni, senza successo. Anche Damage Done e soprattutto Gita, che inizialmente possono sembrare affette dalla stucchevolezza apparattiana, si rivelano preziose gemme pop immerse nell’elettronica. Let In The Light, invece, è il passo falso (l’unico) di II, troppo ammiccante all’r’n’b, troppo luminosa per i Moderat, anche nel loro album meno buio.
Nei pezzi strumentali invece viene invece fuori tutta la portata dell’elettronica dei Moderat. I due Modeselektor, dopo la squisita maranzaggine del loro ultimo Monkeytown di due anni fa, non vedevano l’ora di rimettersi a fare dell’elettronica così aulica (lo si era sentito chiaramente in Blue Clouds e nelle collaborazioni con Thom Yorke) e così sfoderano così bombe come Versions, Ilona e l’immensa Therapy: i loro bassi potenti, le ritmiche monumentali e i synth devastanti si amalgamano con la celestialità di Apparat, facendo ribollire di luce soffusa l’oscurità caratteristica dei Moderat. Poi nel cuore dell’album c’è Milk, il capolavoro incontrastato del disco: dieci minuti di groove sonico dalla ritmiche killer, imperturbabile nel suo evolversi in qualcosa che rimane immutato.
Sembrava improbabile ma i Moderat hanno sfoderato un album all’altezza del debut, addirittura superiore per quanto riguarda la compattezza stilistica. C’è un po’ di nostalgia di alcuni momenti dell’album Moderat, ma da adesso Moderat non è più il nome di un disco, ma il nome di una band che è una delle più importanti istituzioni dell’elettronica mondiale.
Tracce consigliates: Bad Kingdom, Milk, Therapy.