Non capita tutti i giorni di dover parlare del disco di un’artista come Billie Eilish e fidatevi che è tutto molto strano: Billie ha solo 17 anni, è nata nel 2001 e in poco più di un anno e mezzo è diventata una delle icone mondiali della musica pop alternativa con una manciata di singoli, qualche featuring (Khalid, Vince Staples, Sofi Tukker), un EP e tanto lavoro sui social (si ringrazia Spotify e Apple Music per i dollari investiti in pubblicità/playlists/classifiche ecc). Ultimo elemento, ma non per questo meno importante, è il fratello Finneas, che affianca la sorella minore dal primo giorno per quanto riguarda la produzione; e così fa anche nel suo primo album: tutte le 14 tracce infatti sono interamente prodotte dal fratello (tranne bad guy dove Billie è co-produttrice).

Spoiler: sì, c’è il nome di Lorde in questa recensione ¯\_(ツ)_/¯

When We All Fall Asleep, Where Do We Go? si presenta alla grande proprio con bad guy, un bellissimo pezzo elettronico da dark-dancefloor dove il ruggito di “I’m the bad guy” ci ha fatto saltare letteralmente sulla sedia così come il cambio downtempo nella parte finale, che fa ben sperare per il continuo della tracklist. Sembra infatti che Billie abbia deciso di prendere le distanze da quel filone pop malinconico che ha contraddistinto questo decennio (Lorde, Lana, Sam Smith, Taylor, Alessia Cara ecc).

Invece non è così: già dopo qualche canzone non capiamo più che direzione voglia prendere il disco; si sale e si scende tra noiose ballate smielate con when the party’s over (un tributo a Lorde), listen before i go (la colonna sonora di un suicidio), i love you (una reinterpretazione di Hallelujah di Cohen) cantate sopra a soffici basi minimali di chitarra o pianoforte e brani più radiofonici e movimentati come wish you were gay e bury a friend (ottimi pezzi, intelligentemente rilasciati prima dell’uscita del disco), you should see me in a crown (presa in prestito da Taylor Swift), my strange addiction (figlia di Iggy Azalea e Charli XCX), 8 (che porta la moda dell’ukulele in un disco mainstrem).

Il punto debole di Billie, per assurdo, è quello di non avere un suono riconoscibile ad occhi chiusi: la voce sprizza Lorde da ogni poro e le sonorità faticano a ottenere una forte personalità, specialmente in questo momento storico in cui anche il pop ha dato vita a ottimi lavori cosiddetti alternativi e ben prodotti.

Quello di Billie Eilish rimane un disco incompiuto con ottimi spunti (i singoli, per intenderci) e troppi filler sentiti e risentiti negli ultimi anni. Le basi per arrivare in alto ci sono tutte, forse nel momento in cui si staccherà dal fratello (che comunque ha fatto un buon lavoro) per trovare qualche nuovo compagno in produzione e nell’elaborazione di nuove idee. Aspettiamo già da oggi il sophomore. We want to believe the hype.

Tracce consigliate: bad guy, wish you were gay, bury a friend