Terso e torbido possono essere pensati come due estremi di quel segmento, ovvero come due poli di quel continuum, che è Axxa/Abraxas, il progetto artistico del ventitreenne Ben Asbury.

Il velamento fosco è nella parola magica abraxas, la quale molto spesso è stata ricondotta a significati simbolici ed esoterici. Altre volte, tuttavia, ha assunto proprio il significato opposto: c’è chi sostiene che questa abbia un potere apotropaico, nel senso di esorcizzante, accordato al valore delle sue lettere greche che sommate danno il numero 365, ovvero il numero dei cieli nella cosmologia gnostica. Abraxas è dunque, secondo questa ipotesi, la divinità che occupa il primo di questi cieli e che è ingenerata, reggitrice del cielo più alto. La rilucenza è, invece, data da quel sound californiano, che va dal folk al rock psichedelico, che ha intagliato e inciso i contorni del disegno del giovane di Atlanta già meditato durante il periodo di permanenza al college.

L’album è stato prodotto da Jarvis Taveniere, polistrumentista dei Woods, che come per osmosi ha trasmesso in blocco a Ben Asbury il repertorio lo-fi più che mai arricciato da suoni fuzz. Il risultato di tale compenetrazione non è solo frutto dell’ormai navigato Jarvis e della sua nostalgia operante, ma è anche notevole ed evidente il contributo, il calco, dello sbarazzino Ben, il quale dimostra la sua creatività nel momento in cui guarda al passato con il desiderio di riesumarlo e spolverarlo. Il vagabondaggio artistico che ripercorre gli anni ’60 e ’70 condiziona la misura del lavoro teso a fascinazioni hippie, atipiche e “stupefacenti”.

Il full length di debutto di Axxa/Abraxas, composto di 10 brani, è sia il crogiolo, dove tutte le materie vengono fuse, sia l’esito primo e più immediato. Le identità del lavoro sono diverse, tanto è vero che il rock psichedelico è espresso soprattutto, ma non sempre, nella sua derivazione pop-jangle; come l’ascolto dei brani I Almost Fell, Ryan Michalak (Is Coming To Town), On The Run può testimoniare. Le voci e la strumentazione, invece, sono molto spesso riverbero di quel folk – come ad esempio in Going Forth o in Same Signs – che occupa una posizione di latenza in questa gerarchia cibernetica dove proprio l’elemento ai margini, quello appunto latente, influenza maggiormente i contenuti. Non può essere ignorata, infine, l’energica presenza del synth come artificio di quel prestigiatore che fa crescere lo stupore celandosi dietro il machiavello più banale.

Nel complesso, l’album è ascoltabilissimo. Non tradisce, inoltre, l’orizzonte di aspettative sicuramente non altissime, ergo non si rivela impeccabile. Ora, caro Ben, devi però chiarirci una questione: vuoi propagare un’aura o un’essenza divina come vuoi farci comprendere dal nome del tuo progetto? Perché se cosi fosse, dovresti impegnarti un pochino di più e fumare più spesso con Jarvis.

Tracce consigliate: I Almost Fell.