Mia nonna diceva sempre che due cose buone sono ancora più buone, se messe insieme. Ho sempre trovato questo modo di dire stupido e anche un po’ ingenuo: “E il cioccolato con il prosciutto, allora?”, le chiedevo, ma lei faceva finta di non sentirmi e sosteneva che due cose buone, insieme, fanno sempre qualcosa di più buono. Quando ho finito di vedere l’ultimo episodio de La Regina degli Scacchi mi è tornato in mente questo scambio di battute, la fermezza dietro alle parole di mia nonna e la mia convinzione che in fondo stesse dicendo una cazzata. Ma andiamo per gradi.

Una regina inarrestabile

La Regina degli Scacchi è sulla bocca di tutti e lo sarà ancora per un bel po’. In appena un mese è diventata la miniserie targata Netflix più vista di sempre sulla piattaforma, con 62 milioni di visualizzazioni all’attivo. Giustamente, per un fenomeno mediatico di così ampia portata si sono smossi tutti, dai migliori giocatori di scacchi a esperti di serie tv, dall’amico che ti consiglia la serie perché si è innamorato dell’attrice, alla mamma che te ne parla come se avesse visto la seconda venuta di Cristo.

Se cercate La Regina degli Scacchi su Google troverete decine di articoli, recensioni e commenti che spaziano da “abbastanza bello” a “capolavoro senza tempo”. Insomma, è innegabile che Netflix abbia colpito ancora nel segno, che sia riuscita a far parlare di sé e a farlo finalmente in positivo. E, visto che siete qui (probabilmente) per un parere sulla serie, in generale mi accodo anche io ai plausi e dico “Brava Netflix, bell’adattamento, bella serie, complimenti.”

Però anche basta così.

Una Regina attempata

La Regina degli Scacchi è un prodotto che nasce vecchio, pur cercando costantemente di stupire. Per tutta la serie troviamo una cura per i dettagli clamorosa, tramite la quale siamo in grado tuffarci negli Stati Uniti degli anni ’60, come non lo si faceva dai tempi di Mad Men: colori, musica, vestiti, architettura, acconciature e design formano un coro tanto credibile da far sembrare la vita di Beth una storia vera (non c’è mai stata una donna campione del mondo di scacchi). Anche le sfaccettature psicologiche dei vari personaggi del cast sono da lodare, con tutti gli scacchisti mostrati come esseri fragili, soli, paranoici, geniali, quasi alieni.

È bellissimo immergersi in un ambiente così vivido, certo, ma se poi la narrazione vera e proprio è ai limiti del banale e tutto è infarcito di messaggi faciloni, allora dei bei dettagli ce ne facciamo ben poco, ecco.

Sia chiaro, i picchi della serie sono tanti, talmente tanti e talmente fitti da renderla alla fine una visione più che piacevole, senza ombra di dubbio. Manca tuttavia una base sufficientemente solida per reggere un racconto, una forza motrice che trascini lo spettatore un episodio dopo l’altro. Se all’inizio della serie Beth Harmon ci conquista in quanto anti-eroina da antologia (incredibile la scena alla fine del primo episodio dove va in overdose di Librium), ben presto ci accorgiamo che il fascino della protagonista è dato dal suo essere superumana, imbattibile, quasi incomprensibile: appena Beth torna ad essere umana tutto diventa tirato, noioso, prevedibile, tanto che in alcuni momenti la forza traente dello show è la domanda che assilla tutti dal primo minuto della serie: “Ma Anya Taylor-Joy è figa oppure no?”.

Il gioco, rappresentato divinamente

In un momento storico come questo, dove gli scacchi sono esplosi nel giro di pochi mesi ‘grazie’ al lockdown e a Hikaru Nakamura, la cura maniacale dei dettagli è stata impeccabile, sia nel gioco in senso più ampio, sia durante le partite stesse. Tutti i match internazionali che vedete, infatti, sono stati realmente giocati negli scorsi decenni tra grandi maestri (il riconoscimento più alto del gioco) e sono state curate da Sua Maestà Garry Kasparov (a detta di tanti, il miglior giocatore di sempre), per cui era difficile sbagliare qualcosa. I movimenti, i termini, le mosse, i circoli, i tornei, le strategie, lo studio, le variazioni, i cenni storici del gioco: che siate semplici fan o giocatori accaniti sarà davvero un piacere per gli occhi. Inoltre la crescita nel gioco della protagonista, seppur romanzata e vertiginosa, è abbastanza credibile: dopo una prima parte in cui il talento sembra non avere limiti, si può apprezzare una Beth più matura che, con lo studio e la dedizione, riesce ad arrivare laddove il suo intuito e le sue pillole non sono riusciti a portarla.

Una Regina Vuota

Il castello di carta di scenografie e costumi della Madonna crolla quando ci rendiamo conto che non c’è nulla in ballo, che la posta in gioco era l’immortalità che Beth perde troppo in fretta e riacquista troppo tardi, in entrambi i casi in modo sbrigativo. La Regina degli Scacchi, come molti prodotti recenti di Netflix, commette l’ingenuità di parlare al pubblico in modo eccessivamente didascalico, soffocando le sfaccettature più brillanti della produzione e dando respiro a momenti blandi e poco coinvolgenti.

Beth è un personaggio femminile cazzuto anche senza bisogno di farle dire “Perché a loro interessa soltanto che sono una donna?“. Tesoro, è il 1967 e tutti i campioni di scacchi del mondo sono uomini brutti e disagiati, è ovvio che se arrivi tu, donna, vestita da dio e truccata anche meglio il focus cade sul fatto che sei una femmina, una novità, e non c’è niente di male. Di momenti così è piena la serie, e anche se a volte sono amalgamati nel contesto leggermente meglio (la ricerca di una figura paterna da parte di Beth è piacevolmente raffinata), ma in generale prevale un senso di cliché che non abbandona mai per tutta la durata della serie. Che questo sia piacevole per una visione leggera è indubbio, lo dimostra il numero mostruoso di spettatori che sta avendo la serie, ma siamo ben lontani dall’essere di fronte al capolavoro di cui parlano molti.

Una Regina Bellissima

La Regina degli Scacchi è quindi un bel prodotto prima di essere un buon prodotto, una serie piacevole e scorrevole che però non prende mai per la gola, quasi sette ore di spettacolo ricco di paillettes e fronzoli, ma privo di una struttura forte e coesa. Paragonata al pattume a cui ci ha abituato Netflix negli ultimi anni? Una bomba a mano, assolutamente, senza ombra di dubbio, ma come detto sopra stiamo parlando di un prodotto che nasce vecchio, privo di qualsiasi ventata d’aria fresca.

E qui torniamo all’aneddoto che vi ho raccontato in testa: guardare La Regina degli Scacchi è un po’ come mescolare cioccolato e prosciutto senza una ragione concreta, un accostarsi di frammenti realizzati ad arte che però non sono sufficienti a sorreggere un intero. Nonostante ciò, ci sarà sempre qualcuno come mia nonna che vi dirà che due cose, se sono buone, sono ancora più buone insieme, che uno più uno fa sempre due e che La Regina degli Scacchi è un capolavoro di serie tv, e va benissimo così, davvero. Per questo consiglio comunque di guardare la serie, che nonostante tutto considero un prodotto riuscito, un buon 7.5 se vogliamo dare un voto, una visione piacevole se non si ha niente di meglio da fare. Purtroppo la serie non sarà uno scacco in piena regola, questo no, ma è certamente una mossa ben studiata. E poi sì, Anya Taylor-Joy è figa, così ci siamo tolti anche quest’ultimo dubbio. Che volete di più?