Nel 1994 a ventiquattro anni Beck pubblica Mellow Gold e fa quello che all’epoca nessuno si aspetta: si mette a mescolare generi molto diversi – folk, hip hop, blues, rock – creando un “hip-hop folk ultra-surreale” e con Loser diventa in tempo zero – e probabilmente suo malgrado – il simbolo di quella generazione di ventenni disillusi, apatici, ironici e disadattati che Richard Linklater aveva mostrato così bene pochi anni prima nel suo film Slacker.

Un decennio dopo, James Murphy di anni ne ha trentacinque e con l’album omonimo LCD Soundystem si mette di nuovo a mescolare generi agli antipodi – dance, pop, punk, rock, elettronica – e con Losing My Edge diventa il simbolo di una generazione di trentenni sarcastici e nevrotici che ha molta paura di invecchiare (ma comunque ci scherza sopra) e che sa di essere destinata a uscire perdente dall’arrivo del digitale e degli indie-kids figli di Internet e YouTube. Ho sempre pensato che Beck e James Murphy avessero molte cose in comune: l’essere in sostanza due falliti che ce l’hanno fatta, il crossover tra i generi, il piglio sarcastico e quel po’ di strafottenza che ci vuole, ma soprattutto l’aver scritto due pezzi che sono diventati il simbolo del fallimento per più generazioni.

Quando superi la soglia degli anta e la tua band ha già pubblicato pezzi come Losing My Edge, Someone Great, Daft Punk Is Playing At My House All My Friends, probabilmente inizi a pensare che quello che dovevi dire l’hai detto e che potresti mollare tutto per goderti la vista dall’alto sul tuo impero. Anche perché è grazie a te che gli indie degli anni ’00 (per cui Talking Heads, Eno, Bowie e Screamadelica sono o sconosciuti o mostri sacri, sì, ma intoccabili, lontani e da prendere troppo sul serio) hanno scoperto che si poteva anche alzare lo sguardo alle feste e muovere il culo senza sensi di colpa – indie da una parte, clubber dall’altra. Anche perché è grazie a te che finalmente si è potuto riaccostare gli aggettivi “intellettuale” e “danzereccio” ed è sempre grazie a te che due tipi di pubblico che prima si guardavano con sospetto e non potevano piacersi hanno scoperto che invece, quasi quasi, un po’ si piacevano.

Tutto questo deve averlo pensato anche James Murphy, che prima e dopo l’uscita ufficiale fa trapelare più volte che This Is Happening sarà molto probabilmente l’ultimo album degli LCD Soundsystem. Oggi sappiamo che così non è stato e Murphy ci ha regalato nel 2017 un altro gioiello necessario come American Dream, uno dei migliori album di quell’anno con uno dei migliori video degli ultimi anni, ma questa è un’altra storia.

Si dice che il secondo album sia sempre il più difficile, ma se il secondo album é Sound of Silver (2007) allora è il terzo album che diventa un’impresa titanica. Che il Re degli Sconfitti James Murphy ci creda o meno, gli LCD Soundsystem sono ormai diventati cool e l’hype per il post-Sound of Silver è altissimo. Ma cosa puoi sbagliare quando te ne esci con un pezzo con più di tre minuti di intro in crescendo come Dance Yrself Clean in apertura (una roba che fa ballare tutti in un qualsiasi dj set anche nel 2020) e un singolo come Home in chiusura, dove la capacità di scrittura e auto-analisi di Murphy è al suo massimo splendore? Niente, la verità è che non puoi sbagliare niente. Non c’è tanto di nuovo sotto il sole, perché la formula di This Is Happening è in fondo la stessa che aveva fatto la fortuna dei due album precedenti e proprio per questo This Is Happening a qualcuno non piacerà. Rimangono le melodie catchy su cui rimanere fermi è impossibile e i testi arguti, disincantati e malinconici: un mix perfetto che con tale maestria riescono a maneggiare in pochissimi, forse solo i Belle & Sebastian. Fatta eccezione per il divertente e controverso inno dance-rock Drunk Girls (il cui video venne girato niente meno che da Spike Jonze), tutti i brani superano i cinque/sei minuti e potenzialmente sono tutti singoli pazzeschi (Somebody’s Calling Me un po’ meno).

Dopo averci sciorinato tutta la sua autobiografia musicale in Losing My Edge, anche in This Is Happening Murphy si fa accompagnare dai suoi soliti numi tutelari: da Bowie (All I Want) ai Kraftwerk (One Touch) fino a David Byrne (Home), costruendo strati sonori e citazioni musicali colte ma soprattutto facendoci sempre più commuovere e ridere di noi stessi e delle nostre debolezze e contraddizioni.

You wanted it smart
But honestly, I’m not smart
No, honestly, we’re never smart
We fake it, fake it all the time

Oggi continuiamo a suonare I Can Change e Dance Yrself Clean alle serate o prima dei concerti, continuiamo a parlare di una manciata di canzoni che senza sforzo sono sopravvissute perfettamente intatte al tempo e suonano fresche come dieci anni fa, continuiamo a gasarci quando dopo due minuti di intro minimale parte come un’invettiva la batteria di You Wanted A Hit e a sognare di esserci stati a quel party del decennio che fu il loro last goodbye ai fan e alla morente scena indie newyorkese fatta di !!!, Yeah Yeah Yeahs, TV on the Radio e Grizzly Bear: il sold-out al Madison Square Garden di New York il 2 aprile del 2011, registrato nello splendido documentario Shut Up and Play the Hits.

Sentimentale ma ballabile, stratificato ma immediato, con il cuore nel passato ma la testa già nel futuro, This Is Happening è la miglior chiusura del cerchio possibile per una band che ha scritto la storia degli anni Duemila creando un sound iconico mescolando e plagiando i propri idoli e confezionando un album ottimo dopo l’altro senza scivoloni, scandali o sbavature. Ditemi voi se è poco.