Irrompeva così Trevor Powers sui social il 1° febbraio scorso: I am bringin down the curtain, brothers & sisters: definendo “una trilogia di transizione” i lavori targati Youth Lagoon, inaspettatamente annunciava la fine di un progetto artistico che a starne a sentire il capitolo più recente (Savage Hills Ballroom, uscito appena sei mesi prima) sembrava tutt’altro che concluso.
E così Trevor, classe 1989, sente già il bisogno di richiudersi nel bozzolo in attesa di una nuova genesi artistica. Ci mette nella sgradevole condizione di doverci sentire quantomeno un po’ in colpa se noi a venticinque anni siamo ancora là a passeggiare pigramente verso una laurea evitando con cura di finire impantanati in quesiti esistenziali.

Youth Lagoon's new album, Savage Hills Ballroom, comes out Sept. 25.

In tutto ciò, il tour è salvo. Confermate le tre date italiane, come mancare all’appuntamento al Monk? Assistere all’epilogo è d’obbligo, e d’altra parte il club alla periferia est di Roma è il mio preferito perché posso arrivarci senza prendere la tangenziale.

L’affluenza non è delle più massicce. E pensare invece che la sera del live di Calcutta a dicembre scorso non c’era spazio neanche nel cortile esterno. Stasera invece Edoardo Calcutta è uno dei quattro gatti che sfumacchiano in cortile in attesa che il concerto inizi, ‘che in fin dei conti anche la sua storia dev’essere iniziata dai tormenti nel silenzio della propria cameretta, e in quanto a luoghi ostili in cui trascorrere l’adolescenza l’Idaho non dev’esserlo stato poi tanto meno del basso Lazio.

La serata inizia con una mezz’oretta in compagnia dei Mild High Club, al seguito della crew di Youth Lagoon per tutto il tour europeo. L’attitudine è quella di uno scazzatissimo gruppo punk, sembrano i cugini poveri a cui i DIIV passano i vestiti usati, ma tutto sommato sotto ai maglioni vintage si cela del buon psych rock.

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A serata inoltrata, Trevor e soci esordiscono con una doppietta di brani tra i più poppeggianti dell’ultimo lavoro in studio, No One Can TellHighway Patrol Stun Gun, per poi balzare indietro nel tempo fino al 2011 con Cannons, su cui Powers sembra di gran lunga più a suo agio, perchè è di agio che si tratta quando con movenze spasmodiche da un capo all’altro dello stage un performer ti cattura e prende quota dopo un inizio sottotono.
Vi state divertendo?? Beh, io no. Trevor, fortuna tua che ci piaci proprio perchè sei un tantino volubile e sciroccato, come i tuoi dischi che a ogni brano rimbalzano da uno stato d’animo a quello opposto. Se la dose di ostentato fastidio è d’obbligo, poi l’umore cambia al momento di un pezzo “dedicato a gente di merda”, citazione testuale con cui introduce Rotten Human e invade la sala col suo mélange di intimismo e possenza nei suoni.
Lo spazio maggiore è lasciato a Savage Hills Ballroom. La sezione ritmica la fa da padrone sui suoi brani, più strutturati di un tempo. Su Officer Telephone Powers sprigiona impeti da schizofrenico direttore d’orchestra, poi torna a ricomporsi con The Knower. A starlo a guardare, ha quasi un che di nobile nei momenti di raccoglimento al cospetto delle sue tastiere, inginocchiato come un cavaliere d’altri tempi davanti alla dama del suo cuore.
Inspiegabilmente ripudiato Wondrous Bughouse: solo due brani tratti dal pregevole sophomore con cui aveva intuito il giusto compromesso tra il lo-fi degli esordi e la cura nei dettagli, eppure sembrano essere quelli in cui il coinvolgimento in versione live è più completo. Il crescendo onirico e distorto di Dropla è la conclusione che ricompone il giusto equilibrio emotivo, anche se arriva un po’ troppo presto.
Giusto altri due pezzi in encore: prima una versione condensata di Mute, dopo la quale la band si congeda, e lo lascia sul palco solo a eseguire 17 e a tornare un ragazzino di Boise con la passione per i synth.

Torna presto a far scivolare il tuo adorabile timbro rauco e femmineo su qualsiasi cosa tu voglia, caro Trevor. Ti auguriamo una metamorfosi felice.

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