Liberato torna a cantare e questa volta si è percepito che è risalito sul palco con uno sfondo differente. Roma Liberata infatti non è stata una esibizione che si è portata la carica della “prima volta”; il mistero si è fatto meno fitto perché la voglia di svelarlo perde priorità, e la confidenza con il pubblico cambia i connotati – anzi, è stata proprio questa ad addensarsi.

Il concerto di apertura di Rock in Roma 2019 ha segnato il punto di inizio di una nuova fase di Liberato: nei suoi live non si va più solo alla ricerca di risposte al “che farà?”, “come si mostrerà?”, “come si comporterà?”; c’è anche dell’altro, molto altro (tra cui anche un mare di telefoni sempre alzati eh, e addirittura adattati ai bastoni per selfie, che non sono piaciuti nemmeno a lui, ma su questo ora non vogliamo focalizzarci).

Innanzitutto ha assunto un nuovo orientamento lo spettacolo in generale. Finalmente c’è una scaletta densa e strutturata; rispetto agli eventi passati, grazie all’album, un senso più logico e compiuto ha guidato l’intero show, il quale ha raggiunto proporzioni di spettacolarità davvero grandi. Sul palco maggiore dell’Ippodromo delle Capannelle c’erano tre schermi più una specie di sipario rigido che si abbassava e si alzava durante il concerto – tanto per rimarcare il concetto di “velo”.

Il visual che ha accompagnato le esibizioni è stato monumentale, tra luci e soprattutto proiezioni. Colori e movimenti della scenografia sono stati compagni estetici e efficaci di Liberato, che si è presentato sul palco alle 22.45, al centro dello stage ma molto arretrato; incappucciati come lui, altri due componenti del gruppo a destra e a sinistra, muniti anche loro di tastiere e percussioni digitali.

A suonare la carica ci ha pensato Guagliò, che ha segnato con grande energia l’inizio del concerto. Il “sipario” si alza poi con Oi Marì, che introduce una prima, molto romantica, sezione del concerto: sugli schermi appare un cielo notturno, la luna piena, e riprendendo il testo del brano, parte una cover di Stand by me, che fa da ponte a Gaiola – ridiventata per l’esecuzione live portafortuna.

Dopo la “poesia”, si dà un primo accenno di “tachicardia”, ma non – diciamo così – “amorosa”, bensì più “sportiva”, perché su un tappeto sonoro molto latineggiante è la volta di Intostreet e Je te voglio bene assaje. Ma è solo un assaggio momentaneo, perché il mood si rifà intimo con Niente e Nove Maggio. Poi pausa, interludio. Cambio. La cassa si raddrizza: Me staje appennenn’ amò inaugura l’ultima fase dello spettacolo.

L’ambiente cambia, il suono si fa più viscerale, tribale, tutto concentrato su percussioni e bassi profondi. Come si poteva immaginare, è Nunn’a voglio ‘ncuntrà ad essere, in concerto, il punto più alto di Liberato, tra elettronica e canti popolari napoletani (che addirittura fanno riporre il bastone per selfie). Oltre al coro delle lavandaie già noto nella versione in studio, Liberato propone anche accenni di altre filastrocche poco ortodosse, che dalla regia partenopea mi hanno detto essere cori immancabili che si eseguivano in pullman in una qualsiasi gita scolastica (Do re mi famm na palla ‘mman…).

Il sipario, proiettato di rosso, si chiude definitivamente al termine di Tu t’è scurdat’ ‘e me, cantata all’unisono da tutto il pubblico, in tanti napoletani differenti,  anche molto maccheronici, a giudicare dai risolini della regia partenopeaLiberato e i due compagni di palco (o a questo punto i 3 Liberato?) si mettono in riga, pugno sinistro alzato. Questo è stato il saluto conclusivo.

E dunque, il live non ha riservato grandi sorprese. A parte la cover di Stand by me, protagonisti sono stati i dieci brani contenuti nel disco. La musica ha sovrastato la voce di Liberato, che usciva fuori abbastanza smarrita da quel palco super illuminato. Era smarrita poi nei confronti del muro di suono che le basi costruivano. Se non è emersa la voce, infatti, tutt’altro si può dire per le produzioni, che ri-arrangiate secondo diversi stili, rielaborate, remixate, decorate con intro e outro su misura, sono state la nota più positiva dell’esibizione – a dimostrazione che Liberato, forse, si conferma più come nome da club che da riempi-stadi.

Il primo concerto post-album segna un nuovo grado di fede tra artista e fanbase: lo slogan “Liberato canta ancora” non accompagna più un evento per cui il movente primo di partecipazione è la curiosità. L’attrazione verso un hype smodato si è ramificata anche in una più naturale e umana e semplice voglia di assistere ad un concerto di un artista che si apprezza, e con il quale si ha voglia di cantare dal vivo e ballare i pezzi che sono ormai una colonna sonora in loop da due anni (e anche di filmare il tutto con il bastone per selfie).

Sotto questo segno è iniziata la nuova ondata live di Liberato. Siamo entrati nella fase in cui, pur rimanendo sempre velato, il protagonista partenopeo è sceso ad un nuovo compromesso emotivo con la sua gente, lo ha fatto attraverso il compimento del suo primo lavoro discografico, attraverso le storie che ha raccontato, attraverso la grande umanità che ha sprigionato dalle trame delle sue narrazioni di immagini e parole.

La musica di Liberato è un fenomeno inclusivo in tutti i sensi: emozioni e generi, culture (il (t)rap brasiliano di Mc Bin Laden e l’esotismo dei Dengue Dengue Dengue in apertura sono stati indicativi in questo senso). E la stessa valenza inclusiva che emana Liberato l’hanno assunta i suoi concerti: si ha gran voglia di essere inclusi in questa storia che, seppur irrisolta, si è fatta più nitida.

Far parte dell’esperienza-Liberato – sentirsi parte di essa -, insomma, sta diventando un proposito importante per tanta gente.

Quindi, anche se si può dire che dal vivo la sua voce è stata meno performante di quanto si attendeva, anche se durante l’ora e mezza di concerto non ci sono state sorprese, con Roma Liberata del 22 giugno 2019 possiamo affermarlo: Liberato è definitivamente diventato un rituale al tempo stesso laico e religioso. Un rituale pop al quale una gran parte d’Italia, come dimostra la marea umana confluita a Roma, ha voglia di partecipare.

Scaletta:

Guagliò
Tu me faje ascì pazz’
Oi Marì
Stand by me (cover)
Gaiola portafortuna

Intostreet
Je te voglio bene assaje

Niente
Nove maggio

interludio

Me staje appennenn’ amò
Nunn’a voglio ‘ncuntrà
Tu t’e scurdat’ ‘me

[Le foto sono di Giuseppe Maffia, fonte Rock in Roma]