yo-la-tengo-fadeLabel: Matador
Year: 2013

Simile a:
Pavement – Brighten The Corners
Galaxie 500 – Today
Dinosaur Jr. – I Bet On Sky

Trovo semplicemente adorabili le band che, dopo molti anni di carriera passati a sperimentare e ad innovare con successo, ammettono implicitamente di non avere più nulla di rivoluzionario da dire e sfornano lavori sinceri, di cuore, probabilmente più sentiti anche dei loro capolavori passati: le trovo molto simili ai vecchi reduci di guerra che raccontano storie avvincenti ai loro nipoti, che li ascoltano sempre, anche se ripetono sempre gli stessi aneddoti, quasi consapevoli di osservare un tesoro che gli anni si stanno portando via.

E’ questo il caso dei veterani dell’indie rock made in USA capeggiati da Ira Kaplan, che dopo 29 anni dal loro esordio e 12 dischi, di ognuno dei quali la release è sempre un evento, rilasciano un disco che più intimo e diretto non si può, proponendo arrangiamenti spesso ridotti ai minimi termini, crudi e poco invadenti.

“We try not to lose our hearts, not to lose our minds”, è lo scanzonato ma significativo appello che, come degli anziani che lottano per conservare il senno, ci rivolgono i tre nel pezzo d’apertura Ohm, lungo quasi 7 dei circa 45 minuti dell’album, brano splendido scelto, a ragione, per anticipare l’LP sul web. Is That Enough è una ballad pop venata di country, arricchita da archi e dalla morbida voce di Kaplan. Well You Better è una frizzante melodia lo-fi, Paddle Forward è una perla di malinconia in una raccolta di brani che sorridono, arrangiato con chitarre noisy ma mai troppo spigolose ed un’attitudine squisitamente pop; Stupid Things racchiude invece il senso più profondo dell’album, nascosto in versi come “Every little thing just creeps up on you… it takes my breath away”:  Fade è composto da racconti delle povere e semplici cose dell’età adulta, dell’età matura.

I’ll be around  strizza l’occhio al country e al folk, con le approssimative acrobazie acustiche della chitarra di Kaplan, mentre Cornelia And Jane è un’avventura vellutata e sognante narrata dalla magnetica voce della batterista Georgia Hublay (compagna di Ira), come una velvetiana Nico del nuovo millennio, avvolge e seduce chi ascolta. Two Trains prosegue il processo di dissolvenza (non casuale il nome del disco) che ha intrapreso l’album, così come The Point Of It, che tra romantiche carezze a sei corde prepara l’orecchio dell’ascoltatore al gran finale di Before We Run, altro pezzo lungo (6.16), l’epilogo perfetto del fading che ha percorso questo LP dopo la sua metà, un brano solenne, che a partire dalla suadente voce della Hublay sfocia in una festa di archi e fiati.

Il tredicesimo disco degli Yo La Tengo è quindi estremamente coeso, minimale ma mai monotono, intimo ma totalmente fuori dal tempo, come uno scrigno di gioielli rinvenuto nel relitto di una nave: può essere un pregio o un difetto, a discrezione di chi ascolta. E, considerando che uno scrigno di gioielli rimane sempre molto prezioso, il mio appello è: Yo La Tengo, tenete duro e rimanete tra noi ancora molto a lungo per regalarci ancora piccoli momenti di vera maestria pop.

Recommended Tracks: OhmStupid Things.

7.4/10