Prima di immergermi nell’ascolto di Blue Weekend, terzo disco dei Wolf Alice, ho commesso un errore imperdonabile, lo confesso: ho dato un’occhiata ad alcune recensioni della critica estera. Da più parti si leggevano giudizi entusiastici e il termine “masterpiece” era spesso ricorrente. Dopo questa lettura, sono rimasto un po’ scombussolato perché la band di Ellie Rowsell mi aveva abituato, con i precedenti My Love Is Cool e Visions Of A Life, a buonissimi dischi, ma non di certo a capolavori.

I primi due lavori, con il loro sound pregno di rimandi agli anni ’90 tra alt-rock, grunge e shoegaze, peccavano proprio se analizzati nella loro interezza, nonostante una serie di splendidi singoli (Bros, Don’t Delete the Kisses, Space & Time). Sicuramente non degli one-hit wonders, semplicemente una band che mostrava il meglio di sé nei primi metri, ma che si perdeva sulla lunga distanza.

Blue Weekend, prodotto da Markus Dravs (già al lavoro con Arcade Fire, Björk, Florence + the Machine), suona esattamente come ci saremmo aspettati suonasse il seguito di Visions Of A Life, nonostante appaia più omogeneo rispetto al predecessore: il quartetto britannico dimostra di essere ormai a proprio agio nell’abito cucitosi addosso e, allargando leggermente i confini della propria produzione, riesce a mantenere in equilibrio chitarre punk e fingerpicking, momenti feroci e atmosfere eteree, urla rabbiose e cori angelici.

Dopo l’apertura in crescendo di The Beach (traccia a cui si ricollegherà la conclusiva The Beach II), Delicious Things segna la strada di quelli che saranno i suoni portanti della maggior parte del disco: una riflessione sul successo raggiunto (“A girl like me, would you beliеve I’m in Los Angeles?”) accompagnata da atmosfere sognanti, chitarre delicate, cori e la voce di Ellie a fare da protagonista. Ancora una volta le influenze della band londinese sono da ritrovarsi negli anni ’90, ma in questo caso a prevalere sono soprattutto melodie dream pop/shoegaze, come nel brano à la Cocteau Twins How Can I Make It OK? e in No Hard Feelings. Smile e la riottosa Play The Greatest Hits mostrano che c’è ancora un po’ di spazio per il lato più energico e aggressivo, rappresentando l’ideale seguito di Yuk Foo (presente in Visions Of A Life). In generale, rispetto al passato, si sente una vena più cinematografica, quasi epica, come ad esempio nel primo singolo The Last Man on Earth, tra i migliori di Blue Weekend: iniziato come una delicata piano-ballad, il brano si apre nella seconda parte grazie all’aggiunta di una sorprendente sezione orchestrale inedita nella produzione dei quattro inglesi.

In questo terzo lavoro, però, c’è uno strumento che è ancor più importante rispetto a tutti gli archi, chitarre, bassi o batterie che siano: è la voce di Ellie Rowsell. Il suo versatile timbro, mai così pulito e controllato come in questi 40 minuti, riesce a saltellare con facilità da brani più soffici ad altri più incazzosi, con un cantato che ricorda a volte la delicatezza di Kate Bush, Florence Welch o Lana Del Rey, altre la ruvidezza della Cherie Currie in Cherry Bomb o Kathleen Hanna.

I Wolf Alice del 2021 hanno ormai raggiunto piena consapevolezza nei propri mezzi, cosa che ha permesso ad Ellie Rowsell e soci di entrare di diritto nel ristretto campionato delle band inglesi più interessanti in circolazione. Avrebbero potuto perdersi per strada, come successo a tanti altri colleghi, dopo il successo del primo album, ma ciò non è accaduto; avrebbero potuto compiere un passo falso dopo il secondo Visions Of A Life, ma anche in questo caso non è accaduto.

Con Blue Weekend, al contrario, i londinesi alzano ulteriormente l’asticella: difficilmente tra qualche anno ne parleremo come di un capolavoro, ma si tratta di un disco notevole, ben equilibrato e sorretto dalla voce sublime di Ellie Rowsell. Ad oggi, è sicuramente il miglior lavoro nella carriera dei Wolf Alice. E già questo non è poco.

Tracce consigliate: How Can I Make It OK?, The Last Man on Earth, No Hard Feelings