I Wild Belle sono due fratelli, Elliot Natalie Bergmann, provenienti da Chicago, cresciuti in una famiglia dove la musica era all’ordine del giorno, essendo i genitori stessi musicisti. Lui suona di tutto, lei canta ed è pure piuttosto figa, i presupposti ci sono.

Le loro influenze sono le più svariate, molto spesso si rifanno al suono vintage portato dai dischi che i genitori amavano ascoltare in casa, il loro genere è un indie pop dove si notano più di ogni altra cosa le sfumature reggae e jazz. I due si destreggiano piuttosto bene tra i vari generi chiamati in causa, anche se il risultato, più che un opera di larghe vedute che potrebbe rinnovare il panorama musicale, è solamente un disco accettabile di musica orecchiabile, leggero, dove la fanno da padrone le melodie facili e i ritornelli catchy.
Certo, la scelta di rivisitare il genere reggae nel 2013 non è certamente tra le più popolari, sia per carenza di pubblico che per effettiva capacità del duo di cambiare effettivamente qualcosa nella scena, però il fatto che siano sotto contratto con una major all’album di debutto la dice lunga sulle potenzialità commerciali della band, evidenti e già in parte evidenziate dal successo ottenuto con il singolo Keep You, che (non troppo) casualmente è anche la canzone migliore dell’album. Vero, il livello non è altissimo, ma la voce sensuale e quasi annoiata di Natalie prende sulle spalle il pezzo e lo trasporta dolcemente fino alla fine, accompagnata dal sassofono di Elliot e dai ritmi esotici, perfetti per quelle giornate estive dove non c’è nulla da fare se non oziare sotto il sole.

La trovata azzeccata di questo album è il fatto che tutte le canzoni stiano largamente sotto i 5 minuti, rendendo impossibile annoiarsi, eccezion fatta per Another Girl, l’unico pezzo in cui ci accorgiamo della mancanza di idee del gruppo, altrimenti mascherata molto bene dall’attitudine radio-friendly dei pezzi molto solari. Menzione speciale per Happy Home, che ricorda alla lontana addirittura i 
Beach House, piuttosto carina se tralasciamo completamente le lyrics (I ain’t gonna cut my hair, even if you say / I know it’s growing long, but I like it that way, come se ci interessasse). Nel resto delle tracce il cocktail di influenze si palesa ogni volta in modo differente, per esempio in Shine si fonde il reggae con l’elettro pop come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Tutto sommato un album carino, divertente e spensierato, che si lascia ascoltare pur non catturando l’attenzione in modo particolare; è perfetto come sottofondo di attività non troppo impegnative ma noiose, come lavare i piatti o stirare. Se io avessi una band non è che sarebbe proprio la mia più grande aspirazione essere catalogato in questo modo, ma certamente è meglio di nulla, ecco.

Tracce consigliate: Keep You