Pronti, partenza, via. Eccoci qui con uno degli album più attesi di inizio 2012, o forse di tutto il 2012, l’anno che ci traghetterà (si spera meglio di Schettino) ai Maya ed ai loro amici: Born to Die, di Lana Del Rey.

Elizabeth “Lizzy” Grant non fa che parlare di sé ormai da tempo indeterminato, è diventata una vera e propria icona nella scena musicale mondiale. Tutto cominciò dal suo primo Videogames, singolo rilasciato nel bel mezzo del 2011, e da lì le labbra di Lana non hanno mai smesso di far parlare di sé. Acclamata da tutti come la più “hot female indie singer” è subito stata divorata dal mainstream, e ci sa stare bene dato che ormai si sente più parlare di lei che di Lady Gaga.

Di lei sappiamo un po’ tutto da un po’ di tempo, ogni giorno dice cose a caso: Lana non ascolta musica moderna, il suo idolo è Kurt Cobain, David Cameron è suo fan, Lana è sbalordita dal successo che sta riscuotendo, si sente nervosa quando appare in TV, vorrebbe morire ascoltando Jeff Buckley, ha avuto problemi di “alcolismo” da teenager. Insomma Lana allo scoperto.
Tornando all’album beh sì lo stavano aspettando tutti, la Del Rey era entrata nei cuori della gente, poi una sera va al Saturday Night Live, presentato da Harry Potter in persona, per una performance live e fa una mezza figura di merda (lo aveva anche detto che in TV diventa nervosa). Ed ecco che tutti iniziano a buttare merda sulla Del Rey, arrivano subito critiche da tutte le parti, donna-canotto è finita. Però ora arriva l’album, che ho tanta voglia di giudicare senza alcun SNL di mezzo.

Born to Die, debutto per la cantante newyorkese si presenta con 12 tracce, più 3 bonus. Alcune di queste le conoscevamo già, da Videogames a Born to Die, da National Anthem a Blue Jeans, altre ci sono completamente nuove all’ascolto, anche se la minestra è un po’ quella: un pop con carote, R&B, influssi diversi, atmosfere profonde e speranzose, la sua voce posata ma con decisione, a tratti i suoni che ti riportano a My Beautiful Dark Twisted Fantasy (il successone di Kanye).
Le prime tracce, in sequenza Born to Die, Off The Races, Blue Jeans, Videogames sono tutte tracce valide che mostrano subito il meglio che avevamo conosciuto, niente di complicato e trascendentale, ma niente di sbagliato.
Andando avanti l’album può sembrare a tratti pesante e a tratti risulta esserlo, ma nelle ripetitività dell’andatura riusciamo ancora a trovare robe che ti fanno apprezzare il suo lavoro (per quanto pompato). Gli archi ti danno il via, i synth ti danno il pane, la sua voce che a tratti sale e scende, l’album prende una propria conformazione e risulta un lavoro omogeneo, che si chiude con Summertime Sadness e This is What Makes Us Girls, entrambe gradevoli e che stanno proprio a certificare un album in cui Lana Del Rey ha espresso appieno il proprio stile che sembra alquanto personale nonostante i parecchi influssi.
L’attacco di Lizzy ad Adele ed amiche è partito da tempo ma con quest’album è ufficiale.

Born to Die sarà un best-seller e di questo ne sono certo, non sappiamo se Lana sarà la reginetta del 2012 e oltre, questo è presto per dirlo, ma ha di sicuro cominciato bene.