Ernest Greene nello speciale che quelli di Noisey gli hanno dedicato, cioè un episodio di Creators Project, disse che per quest’album avrebbe voluto un ritorno agli strumenti in legno e ferro, all’analogico. Lo vediamo perciò in giro per questo studio che ha usato per le registrazioni, mentre prova strumenti rari e d’annata (Ondes Martenot) ma anche più comuni synth.
Il suono che ne esce però non ha un distacco radicale dai precedenti lavori digitali. I motivi sono due o Ernest usava dei sample e strumenti midi talmente ben fatti e ricercati da suonare come gli originali oppure è proprio lui che non riesce a cacciare altro da quegli strumenti. Come nel caso di Teen Daze, che mi capitò di recensire un po’ di tempo fa oltre al lato prettamente legato alla ricerca del suono, allo sperimentare, al tornare indietro per innovarsi, devo sempre tenere conto il motivo per cui è stato fatto l’album. Per i soldi, sì, ma per chillarsi, rilassarsi.
Ora siamo un po’ al termine della chill-season (l’estate) ma l’opening Entrance e la seconda traccia/ singolo It All Feels Right mi riempiono la stanza di belle palme, piante di ficus (come l’ufficio dei sogni di Fantozzi), un po’ di tucani svolazzano qua e là e vicino al pc un bel bicchiere di tè freddo al limone –che quello alla pesca sembra piscio. L’elemento “nuovo” dei pezzi di Washed Out è la presenza ricorrente della chitarra acustica imbracciata dallo stesso cantante (All I Know).
Paracosm scorre senza troppi problemi più per la prima parte che per la seconda. Nella prima si apprezzano di più le prove di cambiamento stilistico con più campanellini, suoni d’ambiente – che mi piacciono tanto- nella seconda si torna al vecchio Washed Out (All Over Now) e l’ascolto resta liscio se come vuole Ernest, stai bello tranquillo a chiacchierare col tucano che t’è apparso sul ramo della palma in cameretta.
Paracosm è un album fatto per essere ascoltato quando non stai facendo niente, cala di livello man mano che si va avanti difendendosi comunque con dei contenuti apprezzabili. É sempre colpa di quelle parole che gli ho sentito pronunciare, quella voglia di analogico (non espressa del tutto). Ma non c’è che dire, negli anni Washed Out è diventato un nome forte che non s’è perso nell’anonimato delle onde chill.
Un buon album con qualche difetto ma nessuno riesce a fare arrivare il tè al limone e i tucani come sa fare lui.
Tracce consigliate: It All Feels Right