Le Warpaint tornano dopo quattro anni di assenza, e lo fanno con un album bomba. L’esordio The Fool (2010) fruttò loro un notevole apprezzamento da parte della critica ed un inaspettato successo. Ma questo, evidentemente, non era abbastanza e la band decide così di lavorare ad un lavoro che sviluppasse, a detta loro, nuovi percorsi musicali. Forse è anche per questo motivo che il sophomore ha richiesto ben 4 anni; e non possono certamente passare in secondo piano le collaborazioni con personaggi di primissimo piano come Nigel Godrich per quanto riguarda il mixaggio (uno che ha fatto la fortuna con Radiohead, U2 e R.E.M., giusto per citarne alcuni) e del regista di clip Chris Cunningham, autore di un making of dell’album a scopo promozionale. L’album riprende il nome del gruppo, appunto Warpaint, e, diciamolo, dopo 4 anni potevano anche metterci un pò più di originalità. Le 12 tracce sono introdotte da un Intro completamente acustico che preannuncia il leitmotiv che caratterizzerà poi tutto l’album: la malinconia. Warpaint è un album che ti consuma ma che richiede di essere ascoltato ancora ed ancora. All’intro segue una azzeccatissima Keep It Healthy che ben si accoda alle chitarre della prima traccia.

Love Is To Die è il singolo di lancio e da qui cominciamo ad apprezzare l’impronta che le Warpaint hanno voluto dare al loro disco: Emily Kokal ha infatti dichiarato in un’intervista che il gruppo ha subito influenze da generi assai lontani al loro e che nell’album si possano trovare drum machine e quant’altro, creando “qualcosa di molto lontano dal rock tradizionale”; l’utilizzo abbondante di strumenti a tastiera ha portato a creare un suono completamente differente dal disco precedente. Il picco più alto di questa svolta è rappresentato da Biggy, che si apre con un lungo ed ossessivo riff di tastiera per poi sfociare in un caldo fraseggio di chitarra; più che mai le Warpaint si avvicinano a PJ Harvey in questa traccia. Forse è proprio Biggy a rappresentare il punto più alto della tracklist, che dopo questo brano perde leggermente in intensità: ne è esempio l’agghiacciante Disco/Very, vero e proprio pesce fuor d’acqua. Degna di nota resta la closing track Son, una straziante (“I’m nothing, I’m not the one, who still, still awaits alone”) e lenta ballata.

Tracce consigliates: Biggy, Love Is To Die.