Safe si inserisce in un recente filone di sperimentazione ai confini del grime (assieme agli ultimi lavori di Rabit, Kuedo, M.E.S.H.) che deve tanto a Burial quanto all’Arca di Xen. Seguito ideale dei due EP I’m Fine, definiti come un personale ritratto dell’ansia, Safe è la ricostruzione musicale di un attacco di panico. Senza arrivare alla schiettezza (o invasività) dei sopra citati Communion e Piteous Gate, che funzionavano grazie a suoni aggressivi e freddi, qui l’emotività nasce dal gap tra i momenti più rilassati e l’agitazione che pervade l’album. A questo servono le voci (onnipresenti), un tramite tra l’apatia dei suoni metallici dei materiali che cozzano tra loro e la coscienza empatica dell’ascoltatore, che altrimenti li subirebbe solamente.

Abbiamo quindi indicato le due principali componenti dell’album: le voci (strumento di composizione) e l’alternanza tra opposti (metodo di composizione).
Per quanto riguarda le prime, Visionist decide di cercare singole parole su Youtube per tagliarle, pitcharle, ricomporle. Voci pop fino al midollo che inserite in contesti scomodi come Tired Tears, Awake Fears o Sleep Luxury si tramutano quasi in invocazioni. Molti hanno trovato delle somiglianze con l’Asiatisch di Fatima Al Qadiri, eppure non potremmo esserne più lontani. Se lì le voci servono a garantire lo svolgersi dell’azione, qui sono esse stesse l’azione.
L’alternarsi invece riguarda non solo i suoni stessi – si veda il finale di Too Careful To Care, con suoni acuti che si contrappongono a voci sempre più cupe, per poi tornare in alto, fino al timbro più pulito a certificare la calma, – ma anche le sensazioni indotte dall’ascolto. Tra i suoni non c’è contrasto come si potrebbe immaginare, ma una continua trasformazione che porta da un estremo all’altro, dalla sicurezza all’ansia e viceversa (per quanto il cammino opposto sia molto più disilluso a questo punto). Siamo in grado di percepire tutto questo all’interno dei pezzi, certo, ma anche tra un pezzo e l’altro (nel trittico iniziale ad esempio, o in quello finale), nel disco tutto.
Prendendo ad esempio la title track si notano queste cose e anche un’ultima, molto importante: l’assenza di batterie. Si parla comunque di un genere che trova le proprie radici nell’hip hop e nella dancehall, non si tratta di una sparizione da poco. Eppure qui sono uno strumento come un altro, utile a sottolineare un momento, una sensazione, l’idea di stare svegli ad aspettare che arrivi il sonno.

Visionist si rivolge a noi su diversi piani, ci parla di insicurezze e di ansie, di preoccupazioni interiori ed esteriori (la copertina raffigura l’artista, Louis Carnell, sbarbato e sbiancato), costruisce un progetto coraggioso e lo sintetizza in un disco molto corto ma ben fatto. Un’altra notte insonni.

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