Communion è un tipico album Tri Angle: è bellissimo, sfugge alla classificazione di genere (grime sperimentale? advant-post-cos?), ti porta in un posto buio e lontano per lasciarti lì. Cazzi tuoi.
Advent apre le porte su di un mondo violento e frenetico, viscerale. Lontano dalle aggressioni à la Oneohtrix Point Never di G.o.D. o dello stesso The Great Game (da cui Rabit riprende le atmosfere più caotiche), i suoni diventano rituali, agli stacchi si preferisce la costruzione, all’agitazione subentra l’ansia. Non è difficile trovarsi a disagio, soprattutto nella prima impietosa metà del disco; le melodie sono costruite con suoni che si usano per spezzare o attirare l’attenzione, sono allarmi che si inseriscono all’interno di ritmi da club e l’assimilazione non è immediata. Per entrare nelle meccaniche di un album simile si rischia di dover abbandonare la propria comfort zone e addentrarsi in ripetizioni vertiginose, fino alla perdita dell’orientamento, fino alla catarsi.

In pezzi ammantati di un’aura scurissima e pieni di vita irrequieta si finisce per perdere fiducia anche nelle rare pause, che costringono a stare ancora più all’erta, attendendo un colpo che, siamo sicuri, sta per arrivare. Pandemic è l’esempio perfetto, oltre a essere probabilmente il pezzo più bello del disco. Tra l’industrial, l’IDM e la fine del mondo, veniamo trascinati fra urla e sparatorie da rumori di cingoli e rotative, cellulari e fax, tutto assieme in una sorta di rappresentazione bellica, in cui il suono non fa da sfondo alla guerra ma la incanala e dirige.
Anche nei momenti dichiaratamente più tranquilli (Glass Harp Interlude), la sensazione che tutto possa capovolgersi da un momento all’altro non ci abbandona, ed è nel filo della tensione che sta la bellezza del pezzo. Così come l’unico intervento di voce in Flesh Covers the Bone diventa presto una profezia terribile e angosciante, esoterismo.

Rileggere (e riascoltare) tutto sapendo che il tema dell’album è la sessualità, il possesso del proprio corpo, cambia radicalmente ogni prospettiva, ma non ci fornisce comunque gli strumenti per elaborare la mole multiforme di suoni che ci si scaraventano addosso. Grugniti, trapani, brandelli di parole, Communion è la danza che prova ad inserirsi nell’assedio di Sarajevo, è svegliarsi nel deserto vicino al fuoco.
Alla fine di tutto ci ritroviamo davvero in un posto lontano, al buio, da soli. Intrappolati in questo corpo.

Tracce consigliate: Pandemic, Snow LeopardTrapped in This Body