Quest’anno: “Ah che bello! Sta per uscire il nuovo disco dei Thee Oh Sees!” “Ma come…Non ne avevano cacciato uno l’anno scorso?”

L’anno scorso: “Ah che bello! Sta per uscire il nuovo disco dei Thee Oh Sees!” Ma come…Non ne avevano cacciato uno l’anno scorso?”

Due anni fa: “Ah che bello! Sta per uscire il nuovo disco dei Thee Oh Sees!” Ma come…Non ne avevano cacciato uno l’anno scorso?”

Ci sarebbe piaciuto proseguire così fino alla fine ma sarebbe stato scorretto nei vostri confronti, perciò abbiamo deciso di parlarvi anche un pò di Drop, che all’anagrafe risulta essere l’ottavo lavoro full-lenght in sei anni di questa band di conigli (a sottolineare la prolificità, s’intende) capitanati da John Dwyer.
C’è da dire una cosa però, questo album arriva proprio dopo due dei dischi più belli che i Thee Oh Sees abbiano mai concepito, Putrifiers II (2012) e Floatig Coffin (2013), proprio per questo l’aspettativa non era così alta e le strade da prendere sarebbero state due: decidere di abbassare un pò il tiro (almeno per quest’anno), o virare leggermente (non puoi stravolgerti se ogni anno immetti roba sul mercato, devi rinnovarti gradualmente).
Diciamo che la strada presa è stata la seconda, il disco è meno movimentato dei precedenti anche se a smentirci arriva subito Penetrating Eye che con quei synth introduttivi non lascia trasparire la botta d’adrenalina che arriva a 0.40 e che sembra non terminare nonostante il pezzo rimanga lì e non moduli dinamicamente.
Encrypted Bounce è una rottura di coglioni bella e buona, discepoli del garage-rock non ce ne vogliate ma sono quasi sei minuti di chitarre suonate a caso sopra un giro di basso che scartavetra.
Savage Victory ci piace, con le strane dissonanze e quell’aria psichedelica; Put Some Reverb on my Brother invece, resta lì indifferente con la sua melodia monotona e un testo che ti fa venire l’ulcera.
Da qui si ha l’impressione di lievitare, Drop è di fatto la svolta con quel tocco Beatlesiano un pò svampito e tutt’altro che preciso; Camera (Queer Sound) prosegue su quella linea e introduce King’s Nose che, reminescenza di Syd Barrett, sembra essere l’effetto vero e proprio dell’acido “calatoci” con Drop in precedenza.
E da qui che dire ragazzi, si prosegue fino alla fine del trip con quel missile di Trasparent World e The Lens che, per la seconda volta, ci fa guardare a quel 1967 e a quel Magical Mystery Tour di Strawberry Fields Forever.

Bravi Thee Oh Sees, giusto un paio di pezzi evitabili che però possono influire sull’esperienza disco. Nonostante l’estrema fertilità della band questo prodotto funziona e anche piuttosto bene; perchè fermarsi quando si dispone di così tanto materiale? Stiamo iniziando a fidarci di voi ragazzi, anche se ci sono voluti 8 album (uno con l’artwork più marcio dell’altro).

Tracce consigliate: Drop, Trasparent World