Eccoci qua. Un anno dopo l’ottimo Imploding The Mirage tornano i Killers con un disco figlio della pandemia, di un periodo di forzata introspezione, di assenza dai palchi che, come avevamo già chiarito anno scorso, sono casa degli assassini più famosi del mondo. Pressure Machine sulla carta sarà anche il settimo disco della band di Las Vegas, ma più che suonare come un naturale seguito dei precedenti lavori si presenta come uno spin-off, un battere una strada da sempre accennata ma mai percorsa del tutto.

Durante questa pandemia Flowers e soci hanno deciso di abbandonare le luci della ribalta anche nel loro modo di fare musica, raccontandoci un lato degli Stati Uniti che difficilmente intuiamo da qua, la provincia dispersa in immense distese di nulla, la stessa provincia da cui vengono i Killers, così come molti altri artisti a cui siamo affezionati.

Togliamoci il dente della recensione: il disco è molto piacevole, conferma schiacciante della maturità artistica di una band che non delude le aspettative e, pur abbandonando temporaneamente il lustro che li contraddistingue, riesce a mostrare muscoli intimi e profondi. Una prova anche di coraggio quella di proporre un prodotto di questo tipo a un pubblico abituato a When You Were Young e Mr. Brightside. Rinnovo, come alla fine della mia recensione dell’anno scorso, i miei più sentiti complimenti a una band che sembra davvero far tesoro di ogni anno di esperienza, dandoci ripetutamente prova di essere all’altezza del loro nome. Pressure Machine è un disco country addolcito da un pop-rock spreengsteeniano universalmente apprezzabile, e dove non troverete pezzi indimenticabili da cantare a squarciagola avrete confessioni registrate da abitanti della provincia statunitense, storie vere di persone vere che Flowers e compagni si sono promessi di raccontare. La ragione per cui però mi preme parlarvi di Pressure Machine non è però questa.

Quanto scritto nel paragrafo precedente si applica perfettamente a quanto potete ascoltare dalla seconda all’undicesima, e ultima, traccia di Pressure Machine. Va fatto, imperativamente, un discorso a parte per l’apertura del disco, perché quando nasce un pezzo di così rara e intima bellezza è giusto parlarne a parte, tanto per non oscurare i vicini quanto per non privarlo della luce che giustamente merita.

West Hills è uno dei pezzi dell’anno. Invito caldamente tutti a leggere il testo, a perdersi nei suoni che i Killers hanno voluto usare per evocare un racconto semplice, banale quasi, ma estremamente efficace. Potrei portarvi a paragone i pezzi più narrativi dei National come Ada o Sleep Well Beast, ma se i National stanno a John Cheever, i Killers stanno allo stesso modo a Ernest Hemingway. In West Hills c’è tutta la potenza, tutta la grezza grazia e tutta la sconvolgente semplicità della grande narrativa americana. È emozionante anche solo parlarne, ed è meraviglioso che ci siano band in grado di produrre ancora pezzi così.

Pressure Machine sarebbe un disco perfettamente riuscito nel suo intento anche senza, ma West Hills lo eleva un gradino sopra. Un instant classic? Forse. Un fantastico spaccato su un mondo a noi lontanissimo? Di sicuro. Un ennesimo motivo per ringraziare che esistano ancora persone come i Killers? Potete scommetterci.

Tracce consigliate: West Hills