È l’agosto del 2001. Anne Hathaway fa il suo debutto al cinema con The Princess Diaries, Michael Schumacher è campione di Formula 1 per la quarta volta e i New Order rilasciano Crystal, singolo di lancio del loro primo disco dal 1993. Nel video musicale del pezzo un gruppo di ragazzi si esibisce in playback davanti a un muro di LED. Sulla grancassa capeggia il nome del gruppo fittizio, scritto a caratteri neri zigzagati: “The Killers“. Nella polverosa e sconfinata zona residenziale di Las Vegas un Brandon Flowers appena ventenne legge questo nome e decide darlo alla band che sta mettendo su in quel periodo.

È l’agosto del 2020. Negli ultimi diciannove anni i Killers sono diventati un nome imprescindibile della storia del pop-rock, uno di quei rari gruppi capaci di mettere d’accordo tutti. Semplici, diretti, ma mai davvero ruffiani, forse solo un po’ scontati ormai. Comprensibile quindi che non ci si strappi i capelli all’uscita di un loro nuovo disco, soprattutto se nessuno dei singoli che l’hanno anticipato suona roboante e carismatico come quelli degli ultimi Wonderful, Wonderful e Battleborn. Ed è proprio qui che Imploding The Mirage fa la sua prima magia, perché la sua semplicità è solo apparente, la sua accessibilità calibrata a pennello e il suo essere un po’ piacione quasi più un bene che un male.

Per tutta la sua durata Imploding The Mirage è contraddistinto dal grandeur tipico della band di Las Vegas, ma a differenza dei precedenti lavori non troviamo instant anthems a là Mr Brightside o The Man. Non fraintendeteci, nessuna delle dieci tracce sfigurerebbe in una qualsiasi arena gremita di fan sfegatati, ma c’è una sorta di distensione, un sound meno urgente, più ragionato, ma non per questo meno coinvolgente ed efficace. Anzi, se a un ascolto superficiale il sesto album dei Killers si maschera da rock ‘n’ roll sporcato di 80s un po’ facilone e uguale a se stesso, la profondità dei brani e delle loro influenze è forse la vera punta di diamante del lavoro.

My Own Soul’s Warning è un pezzo dei Killers da antologia, non fosse per quel giro di tastiere brillanti e ballerine che lo rendono subito irresistibile. L’apparente deriva country di Blowback è accompagnata da synth elegantissimi. Fire In Bone prende i Dire Straits con i Wang Chung e fa fare loro un giro nella Death Valley, risultando in un rock immediatamente piacevole e danzereccio. I cori U2 di When The Dreams Run Dry sono accompagnati da percussioni e synth che quasi richiamano i Talking Heads e i Tears For Fears. Potremmo andare avanti per paragrafi interi cercando di sgomitolare tutte le influenze nascoste che compongono Imploding The Mirage, ma la parte più divertente di questo disco è proprio scoprirne sempre di più i dettagli con ogni nuovo ascolto. I Killers non sono mai suonati così abili nel costruire pezzi in grado di catturare chiunque, dall’ascoltatore occasionale al fan di lunga data, e gli highlight del disco come Dying Breed e Running Towards A Place ne sono la prova.

Araldi di quella magniloquenza scanzonata tipica della loro Las Vegas, i Killers di Imploding The Mirage sono immediatamente riconoscibili e al tempo stesso sorprendenti, accessibili ma non scontati, facili ma non banali. Non si può fare altro che sorridere orgogliosi davanti a un lavoro di questo tipo, forse il più “Killers” tra tutti gli album della band. Mai stucchevole, mai noioso, mai pesante, Imploding The Mirage è il testamento di una band che, diciannove anni dopo aver trovato il nome in un video musicale, ha trovato una sua personalità, un suo sound e una sua potenza espressiva. Bravi Killers, bravi davvero.

Tracce consigliate: Dying Breed, Running Towards A Place, Imploding The Mirage