Le presentazioni sono spesso superflue, specie per chi 17 anni fa dominava la scena big beat, con ben poco da invidiare a gente del calibro di Fatboy Slim, The Chemical Brothers e The Prodigy. 17 anni fa, appunto: siamo nel 2014 e i tempi sono un pochino cambiati.

The Crystal Method viaggia quasi interamente su ritmi electro/dance con cassa dritta e bpm inferiori ai 130 (Emulator110 To The 101), ma anche su tempi veloci e sincopati della drum&bass e della dubstep con Over It. Il tutto viene brutalmente accompagnato da vecchi (a livello innovativo) synth che raggiungono lo stile ‘a 8-bit’ con pezzi ultra-sintetici come Jupiter Shift e Dosimeter.

Quelle che inizialmente potrebbero essere ispirazioni o influenze diventano brani da copia-incollare con lo stampino: è il caso di Storm The Castle che è una pessima cover di Breakin’ A Sweat di Skrillex e di Sling The Decks che prova ad essere un pezzo dell’album Clarity di ZEDD (Shave It Up, Codec o Stache, scegliete voi), finendo in un mix di roba sintetica e chitarre malfunzionanti.

Fallimentari anche le parti cosiddette sperimentali, anche se di sperimentale c’è davvero poco perché con Jupiter Shift il duo statunitense prova a tornare in campo big beat (con vena electro post-2010), ma il risultato è agghiacciante e le due tracce in chiusura sono piazzate lì puramente a caso, con una Metro che è il classico pezzo sfigato pieno di suoni futuristici senza senso e After Hours, che neanche lei sa cosa vuole fare, tra un vomitevole synth-pop electro e voci anonime nel modo più assoluto.

Un disco che ha ben poco da dire, sia in un contesto di musica generale, sia per quanto riguarda il genere che propone e che può prendere a braccetto l’ultimo disco dei Bloody Beetroots e andare nel girone de “Gli album più inutili e fastidiosi degli anni ’10”.

Tracce consigliate: Over It (ft. Dia Frampton)