Oh, finalmente tratto di un disco ricco di nostalghia ’90, di grunge ignorante, di emo che non è emo e di quella pschidelia fuzzeggiante che gli Smashing Pumpkins hanno proposto per mezzo decennio. Riordiniamo subito le idee: psichedelia ce n’è, ma limitante e limitata a pochissime occasioni, grunge (o post-grunge, etichetta più adatta) a vagonate (se qualcuno si ricorda i Silverchair ha già capito di cosa stiamo parlando), chitarre pesanti riprodotte in slo-mo, come una versione ancora più annoiata dei Nirvana, ma edulcorata a livello vocale, e quell’emo per teenager che è ben rappresento dai Weezer più graffianti; il quadretto dipinto dai Superheaven, intitolato Ours Is Chrome è completo e ben rappresentato… sembrerebbe.

La carica che dà un album del genere al primo ascolto è incredibile, tanto da far dire: “Ehi, ma che figata allucinante, riascoltiamo!“; ed è proprio qui che il disco sgretola dopo il primo secondo. Tutti i bei nomi citati fanno solo da contorno a quello meno entusiasmante, cioè i Silverchair, la quintessenza dell’immondizia: come gettare giù per il cesso quell’onda lunga hardcore punk americana (Hüsker Dü, Flipper, Meat Puppets) e i Sonic Youth, già sconquassati dal “genere” grunge, con la versione radiofonica della musica per i giovani disadattati, ma solo per sport. Capite che questo disco, al secondo ascolto, diventa completamente inutile e non bastano quei due o tre pezzi più caparbi (Next To Nothing su tutti) a salvare l’album; per il web i Superheaven viaggiano sulla stessa scia dei Title Fight, se per alcune sonorità posso anche essere d’accordo, per la qualità beh ecco, lasciamo perdere.

Traccia consigliata: Next To Nothing