Le Siskiyou Mountains si srotolano dall’Oregon alla California, orientate in modo tale da ospitare una gran bella varietà di alberi e animaletti. Cazzeggio su Wikipedia mentre fluisce dalle casse l’ultimo lavoro della formazione di Vancouver nata da una costola dei Great Lake Swimmers. Pare che scientificamente questa cosa qua si chiami biodiversità. Sì, verrebbe da chiedersi “chissenefotte?”, e in effetti finora anch’io ho vissuto benone pur ignorando un sacco di nozioni di ecologia, se non fosse che nel frattempo Nervous scorre e si rivela una folta selva di ispirazioni sonore tra le più disparate. No, non una giungla caleidoscopica, lo scenario che le dieci tracce costruiscono ha piuttosto l’aria di una ordinata foresta nordica, variegata sì ma dai colori elegantemente ton-sur-ton: i Siskiyou non sono i poliedrici e imprevedibili Arcade Fire (anche se con Nervous confessano spesso sfacciatamente di volerlo essere), gli esiti risultano sempre più misurati e composti, ma non per questo meno intensi.

Dopo il precedente Keep Away the Dead di qualche anno fa, soffuso folk rock vicino alle esperienze statunitensi (Local Natives, Iron & Wine), stavolta i canadesi deviano il percorso aderendo a quella fetta di indie connazionale che ha ormai da tempo dimostrato una attitudine innata ad assorbire il folk altrui per applicarlo all’art rock. Per intenderci, Nervous è un disco che non avrebbe avuto modo di esistere senza Funeral. A ribadire l’affiliazione, il timbro di Colin Huebert, voce e mente del quartetto, in numerosi episodi (Bank Accounts and Dollar Bills, Oval Window) pericolosamente simile a quello inconfondibile di Win Butler. È un peccato, perché paradossalmente la perizia nel songwriting di Huebert è più tangibile nei casi in cui non insegue il sound di Butler e soci e si muove libero, costruendo scenari inquieti su ritmi cadenzati e avvalendosi di contributi di un certo spessore (Colin Stetson, solo per citarne uno).

Il sax e l’incursione di cori femminili di Deserter inaugurano l’aura conturbante che percorre tutto l’album. Il retrogusto erotico persiste anche quando l’umore si fa più cupo, da Wasted Genius, che esordisce da ballad e muta presto in accattivante sintetico, fino all’arrangiamento orchestrale e lunatico di Babylonian Proclivities, passando per la morbida title-track e Violent Motion Pictures, che parte in riverberi che richiamano i primi Interpol ma si ricompone presto in rock schietto e sussurri shoegaze, in cui la voce di Huebert sembra trovare la sua naturale dimensione. I brani confezionati in dettaglio e ben disposti in fila per creare la giusta intimità dichiarano una vocazione noir con ogni mezzo a disposizione – motivetti sintetici, sfolgoranti riff di chitarra, sostenuti crescendo di archi – e fanno di Nervous un lavoro organico e straniante, biodiversità sonora che si svela e si lascia apprezzare ad ogni ascolto un po’ di più.

Tracce consigliate: Wasted Genius, Babylonian Proclivities.