“I wanted the sound of the thing to be devastating and violent. Recordings that force you to feel something even if that something isn’t good.” Queste le premesse per il concentrato di emozioni appena sfornato da Henry Laufer, al secolo Shlohmo. Il talentuoso producer statunitense presenta al suo pubblico un sound totalmente rinnovato, lontano, anzi lontanissimo, dalle atmosfere del suo esordio: Bad Vibes era la primavera, il trionfo dei colori, il suono dell’armonia. E Dark Red cosa è? Dark Red è un’uggiosa e solitaria nottata invernale, un cupo viaggio introspettivo; Dark Red è un cazzotto alla bocca dello stomaco che ti lascia senza fiato. Per sua stessa ammissione, l’atmosfera di quest album è frutto di un periodo particolare nella vita di Henry: le tematiche della vita, della malattia, della morte, si scorgono benissimo in questo sophomore, senza neanche bisogno di testi, senza spiegazioni. In fin dei conti, avevamo già alcuni sentori: una rosa nera, uno sfondo nero, un titolo evocativo; Shlohmo ci aveva fornito sufficienti indizi per far capire in che universo ci avrebbe catapultato.

“Per me si va nella città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente”; una sirena allarmata, un organo da cerimonia funebre, e si potrebbe immaginare un grido femminile in mezzo a tutto ciò: è Ten Days of Falling che ci apre la porta verso questa città dolente, un’opening-track assolutamente geniale che riassume nei suoi 4 minuti e spiccioli tutto ciò che troveremo in Dark Red. [Come si può rimanere impassibili di fronte alla morte?]. Poco cambia se in Meet Ur Maker si ritrovano alcuni degli elementi che avevano reso Shlohmo unico nel suo genere col precedente album, l’atmosfera è sostanzialmente cupa, scura, come testimoniano anche i titoli stessi. BuriedSlow Descent, Ditch, Fading; nessun segnale di speranza, nessuna salvezza. La vetta più alta dell’album si raggiunge in Ditch, un macabro rituale dove i beat sincopati fanno da sfondo ad un groviglio di voci non riconoscibili ed inquietanti. “It sounds like if (…) Boards of Canada meets Burzum by the River Styx” dice lui, riguardo questo rinnovamento, e non ci va molto lontano. Tuttavia, nonostante l’indubbia maturazione musicale si scovano qua e là dei piccoli nei che fanno di Dark Red un album bello, ma non bellissimo. Si tratta della produzione, un po’ piatta, che tende a far assomigliare molto fra loro le singole tracce: è vero che dischi del genere sono godibili nella loro interezza, ma un minimo di eterogeneità non avrebbe guastato. Troviamo poi campionamenti ripetuti tra le varie tracce, così come la noiosa sovrapposizione tra beat raddoppiati e non (vedasi Fading), o l’utilizzo non impeccabile dei hi – hat. Piccoli difettucci dicevamo, che però sommati fra loro rendono Shlohmo un bravo producer, ma non lo innalzano ad un gradino ancora più alto.

Da Bad Vibes a Dark Red è cambiato moltissimo, è Shlohmo si conferma e supera quanto mostratoci 4 anni fa. Henry Laufer si muove verso nuovi lidi in cui non è più ossessionato dall’armonia; il vero centro d’interesse è la sfera emozionale, e Dark Red supera questo esame brillantemente. Il percorso di Shlohmo sembra avviarsi verso una nuova fase, con un bagaglio di buone capacità e la constatazione che anche beat e synth, quando vogliono, sanno essere tanto struggenti quanto un testo di Sufjan Stevens.

Tracce consigliate: DitchTen Days of Falling.