Ed eccoli i soliti Ringo Deathstarr con l’intro Dream Again: canzone liquida, voce sospesa, giro d’accordi che potrebbe ricordare i Medicine, sempre loro come vuole la convenzione shoegaze. E dopo 2 minuti tutto viene ribaltato, Heavy Metal Suicide, il secondo pezzo del disco, viaggia su coordinate a metà strada tra il grunge seattliano (all’inizio mi è sembrato di sentire gli Alice In Chains) e una psichedelia grassa di fuzz che riconduce subito ai primi Smashing Pumpkins, con un muro sonoro più denso ed una voce più sommersa della band di Chicago. E quando i RDS svoltano nuovamente, è qui che cominci a pensare: “ma io ne volevo ancora“, i RDS non riescono a concentrarsi su un lato del genere, sembrano sempre alla ricerca di quel qualcosa che li renda unici e che non riusciranno mai a trovare, purtroppo.

Dopo questo fuoco di paglia, si susseguono degli ottimi pezzi (mai detto che non fossero in grado di farne, d’altronde) che, come detto in precedenza, destabilizzano l’atmosfera; si va da un pezzo che avrebbero potuto fare i Chromatics assieme ai Curve (Stare At The Sun), ad una canzone alla My Bloody Valentine che non può di certo mancare ad ogni loro disco (Big Booper). Dopo questa terra di mezzo di variazioni stilistiche, ritorna ciò che bramavamo in precedenza: fuzz a manetta, basso distorto e violento, un gran bel muro di suono e la dolce voce sensuale di Alex GehringCalifornia Car Collection gioca su un perfetto climax arricchito di volta in volta da nuovi strumenti, in una cavalcata elettrica alle prime luci dell’alba. Frisbee è il manifesto del disco, avrei voluto sentire questa canzone ripetuta 9 volte: alle solite chitarre fuzz ed al basso in pompa magna si intrecciano perfettamente le voci femminile e maschile, la prima nella strofa e la seconda nel ritornello che ci sbatte addosso una forte malinconia, tutto questo abbracciato da un assolo psichedelico.

Su questo Pure Mood è stata raggiunta una sonorità che ricorda in egual misura Smashing Pumpkins, Swervedriver e My Bloody Valentine. Un grosso problema del disco è l’eccessiva durata; se fosse durato 12-15 minuti in meno avrebbe di sicuro giovato. Bisogna ammetterlo, non tutti possono permettersi di realizzare lavori lunghi e sempre vivi e se c’é chi può e chi non può, i RDS non possono. Colour Trip era un disco denso e coeso, di certo il migliore della loro discografia, con Mauve qualcosa è cambiato nel loro dna, sarà stato un cambio di gusti oppure la volontà di cambiare sempre faccia perché la critica è stata spietata nell’etichettarli a cloni dei MBV, ma di certo non ha aiutato. In definitiva sembra che con questo ultimo lavoro si siano focalizzati su un alternative rock sporchissimo contrastandolo alla voce d’angelo di Alex. La nuova veste dei RDS non è ancora completa e probabilmente non lo sarà con i successivi lavori.

Traccia consigliata: Frisbee