Ramona Lisa è il moniker dietro il quale si nasconde la produttiva Caroline Polachek, dolce metà dei Chairlift, duo synth pop di stanza a Brooklyn. Dopo essere già passata per diverse collaborazioni la Polachek ha intrapreso un percorso di forte intro-spezione che l’ha portata a partorire finalmente il debutto della sua carriera solista, Arcadia.

Esattamente come nel video della titletrack, sembra essersi rinchiusa in una sorta di bozzolo artistico, i cui prodotti avrebbero dovuto sottostare ad alcune semplici ma perentorie regole: “Most of all I felt that they couldn’t include men – there couldn’t be boys, there couldn’t be instruments, there couldn’t be amplifiers, there couldn’t be a group” come lei stessa ha dichiarato in una recente intervista.
Aa Caroline, ma dove voi andà se nun c’hai Patrick Wimberly (producer nonché polistrumentista), nun c’hai gli strumenti, gli amplificatori e nun c’hai manco un gruppo?
La risposta è semplice, perché a Ramona bastano un laptop, dei comuni strumenti MIDI, le pause durante il tour, qualche esercizio con Auto-tune, e l’album è confezionato.

Pare che sulla creazione delle atmosfere a un tempo austere e dolci abbia influito anche un soggiorno a Villa Medici, Roma.
Mi chiedo perché non ne sapessi niente, visto che una pizza gliela avrei anche offerta, comunque mi accontento di partire con l’ascolto di Arcadia, misterioso compendio della nuova estetica dell’artista, un mix di eleganza nordica e occultismo agrodolce. L’intro è quasi industrial, delle campane annunciano una nuova epoca nella carriera dell’artista, ma ben presto le tastiere trasfigurano il paesaggio in un’invitante dimensione onirica condita dal leit motiv che cresce e sparisce come l’ombra di un ricordo (forse un oboe? un organo? clarinetto? Le vie del MIDI sono infinite).
Sul versante più electro troviamo le successive Backwards & Upwards, con un basso stralunato e ritornello glitchy (come accadrà un po’ in tutto l’album), e Getaway Ride (Cha Cha Cha), dove le tastiere descrivono paesaggi dream pop sopra una linea di basso di quelle che ti fanno rimpiangere certa chillout.
Lady’s Got Gills scorre attraverso rimandi orientaleggianti e un uso sicuramente ispirato dell’alternanza tra una voce pulita e una maggiormente lo fi, entrambi campi nei quali la Polachek ha sicuramente qualcosa da dire.
Hissing Pipes At Dawn (They’re Playing Our Song) suona come una pausa ambientale atta a rimestare nuovamente le acque prima di un nuovo tuffo nel pop chairliftiano di Dominic. Non dimentichiamoci infatti che non era fin dall’inizio nelle intenzioni di Caroline pubblicare un album solista, ma che le canzoni hanno acquistato solo gradualmente vita propria.
Reprise riprende il tema di Arcadia, con la voce che si fa distante in modo adorabile, soprattutto considerando che anche le parti vocali sono state registrate direttamente al computer.

In effetti questo modus operandi, per quanto sia ammirevole limita in parte le intuizioni migliori, che qua e là restano ingabbiate in suoni eccessivamente “artefatti”e in atmosfere ambient alle volte troppo dilatate.

La conclusiva I Love Our World è sicuramente il pezzo più sperimentale insieme alla titletrack, è la rottura di un rito purificatore cui abbiamo partecipato quasi senza esserne coscienti, intriso di quella leggerezza che non diventa mai banalità, è la chiusura di un cerchio che come un Uroboro chiede (a ragione) di poter ricominciare.

Tracce consigliate: Dominic.