Protomartyr-album-cover-608x594Etichetta: Hardly Art
Anno: 2014

Simile a:
Soviet Soviet – Fate 
Savages – Silence Yourself
Interpol – Turn On The Bright Lights

C’era una volta Detroit, la Motor City, isola felice, uno dei simboli del sogno americano, ma soprattutto fonte di una certa cultura alternativa, soprattutto musicale. Da sempre infatti la città gode di un certo fermento artistico: basti pensare che ha dato i natali a Iggy Pop and The Stooges e Mc5, anticipatori del punk, e che è culla di artisti del calibro di Stevie Wonder, Marvin Gaye, ma anche di Alice Cooper ed Eminem, nonché luogo da cui è uscita la musica techno. Ma ormai tutto ciò è un amaro ricordo, l’attuale situazione è drammatica : la città è adesso col culo per terra, sommersa da miliardi di debiti, messa in ginocchio dalla crisi economica e dalla disoccupazione. Ed è proprio in questo contesto che crescono e si formano i membri dei Protomartyr, gruppo post-punk messo su da quattro tipici ragazzi del Michigan.

La loro seconda fatica, Under Color Official Right esce per la Hardly Art, sorella (specializzata in artisti emergenti) della storica Sub Pop. Rispetto al loro primo lavoro (No Passion All Technique, 2013), questo appare molto più maturo e versatile: troviamo infatti ritmi decisamente più variegati, momenti estremamente vivaci si alternano ad altri più malinconici e soft. La protagonista indiscussa del disco è Detroit: che sia nello squallore dei bar di periferia, o nella voglia di riscatto sociale di un ragazzo, o nella disperazione alcolica di chi ha perso il lavoro, la cornice è sempre lei. La voce del cantante, che cura anche i testi, è molto profonda, a volte è al limite dello stonato per ricreare, insieme alle chitarre distorte, quella tipica cacofonia ricercata à la Sonic Youth.
Per tutta la durata del disco aleggia una sorta di incazzatura disillusa, quasi paralizzata. Ne è emblema l’opener Maidenhead, ispirata da un libro black comedy di Patrick Hamilton, dove un alcolizzato solitario non riesce più sentire dolore e piacere a causa di un incantesimo; di seguito l’album viaggia spedito, con quasi tutti brani che raggiungono a malapena i due minuti e, in alcuni casi, superano di poco il giro d’orologio (Pagans), variando dal ritmo incalzante di Ain’t So Simple, alla più distesa , seppur ruvida, What The Wall Said, che rappresenta uno dei picchi più alti dell’intero LP. Arriviamo in qualche modo a Scum, Rise!, vero e proprio anthem alla Teenage Riot (con le dovute proporzioni ovviamente), storia di un ragazzo che cerca riscatto dopo un’infanzia piena di difficoltà e abbandoni,  tutto per finire alla più pregiata Come and See, dove i quattro sembrano quasi invitarci a vedere di persona le condizioni in cui versa ormai Detroit, non più sede di fiorenti movimenti Underground, ma patria del degrado.

I Protomartyr confezionano un bel gioiello grezzo, autentico come non mai, che per le spietate logiche moderne del music business rappresenta davvero un miraggio, una rarità. Ma questi ragazzi sono rimasti semplici, non campano con la musica, non sanno vendersi e costruirsi a tavolino e pare che nemmeno gli interessi troppo, per ora restano genuini, suonando con disinvoltura e con un unico obbiettivo condiviso: fare musica come cazzo pare a loro, senza vincoli esterni, come pura forma di espressione.
Ed anche se hanno scelto un nome truce da bestie di satana, gli auguriamo un luminoso futuro!

Tracce consigliate: Come & See, Scum, Rise!.