Si si, Porcelain Raft lo conoscete. Lo conoscete da un pezzo, che voi dite un pezzo per dire un anno che sappiamo tutti che non è un pezzo, semmai un pezzettino. Ma questi sono fondamentalmente vostri problemi di percezione, non miei. Non miei.

Mauro Remiddi, che è Porcelain Raft – ma voi questo lo sapete, a causa di una forte laringite causata dall’aria che respirava tra i colli romani o nei pressi, obbiettivamente non importa, si trasferisce definitivamente a New York, o nei pressi, da ormai un pezzo, bisogna dirlo.
New York città di emozioni, che non dorme mai, che si contraddice da sola, che la possiamo vedere in un sacco di film che ormai veramente la conosciamo, ispira Mauro al punto da fargli fare un disco sul nascere dell’anno scorso che è il motivo per il quale ci ricordiamo di uno che francamente di cognome fa Remiddi.
Strange Weekend era un disco dream pop che avrebbe fatto piangere sia Obama che Hitler a detta di alcuni. Valanghe di sinth si scioglievano in comete luccicanti che scoprivano pian piano beat lenti e spaziosi rifacenti a episodi storici degli ultimi vent’anni che andavano seguendo testi struggenti e voci riverberate due ottave sopra la media.
Si si.
Oggi, a bene o male un anno e mezzo di distanza, Porcelain Raft torna in scena con un secondo Long Playing: Permanent Signal.
Si si, bene.

Permanent Signal è in realtà una splendida conferma di uno che vanta una padronanza di intenti e chiarezza di contenuti se non altro al di sopra della media italiana. Ma questo non vuol dire niente, Permanent Signal è un disco che stabilisce e definisce ulteriormente la posizione di Porcelain Raft all’interno di un panorama musicale allargato. Se già Strange Weekend ci dava l’impressione di alludere a più soluzioni sonore, sebbene già sperimentate e simili tra loro, Permanent Signal ce ne dà la conferma, Remiddi sa perfettamente come muoversi per ottenere quello che vuole. E questo è un pregio si, il difetto è che questo disco si allarga solamente su un piano timbrico tenendosi bene al braccio le soluzioni armoniche e dinamiche del disco precedente. Questo diminuisce chiaramente l’effetto di novità proprio di Strange Weekend, e lo fa diventare “un altro disco di Porcelain Raft”, quasi come se ormai la musica fosse solo una questione di post-produzione. Si alzano quindi i volumi delle chitarre elettriche, i sinth rimangono stabili, la voce è più nitida e si perde meno in quest’ultimi, compaiono più “batterie suonate” assieme a pianoforti, trombe e archi il che, se mi posso permettere, rende il tutto molto più accostabile a un ambiente pop rock; ad esempio Cluster, nell’inciso, è molto simile a un qualsiasi pezzo degli U2 e Minor Pleasure, nella strofa, ricorda Patti Smith quella di Horse.
Per il resto il disco è ok.

Tracce consigliate: Think of the ocean, The way out .