Una delle prime cose che ci insegnano, da bambini, è che non si giudica un libro dalla copertina. Il polpettone della nonna è buonissimo anche se sembra radioattivo, il fidanzato di nostra sorella non è un delinquente solo perché pieno di tatuaggi di dubbio gusto, la Multipla è una macchina funzionale e pratica e così via. L’abito non fa il monaco, le apparenze ingannano, tutte queste bellissime e nobilissime cose qui.

Questo concetto si applica abbastanza bene ai dischi: ci sono quelli con copertine evocative che poi si dimostrano inverosimilmente piatti, quelli che al contrario sulla carta fanno ribrezzo e invece sono mezzi capolavori, quelli che suonano completamente diversi da come si presentano e quelli che rispettano al 100% le aspettative.

Cosa ci aspettiamo da un album che in copertina ha un tizio vestito da impiegato della City londinese, intento a limonare un Intel Pentium su cui gira Windows 98, circondato da luci al neon alogenate e fredde? Come cambiano le aspettative se vi dico che l’artista in questione si chiama pizzagirl, che il disco è il suo secondo lavoro ed è intitolato softcore mourn?

Così su due piedi, io direi che è la sagra del post-hipster in bilico tra l’ultra nostalgico e l’ultra ironico, incapace però di trovare una via di mezzo. E, dopo aver passato l’ultima settimana in compagnia di pizzagirl e del suo softcore mourn, direi che non mi sbaglio di molto. Il disco prende a piene mani dalle sonorità fine 90’s – inizio millennio che tanto piacciono ai giovani inglesi da quando Mura Masa ci ha deliziato con R.Y.C. anno scorso, ma si sposta più verso un melange tra emo e indietronica, un mix tra Passion Pit e Incubus che ci parla di un mondo uscito direttamente dalla penna di un Bret Easton Ellis nato nel 1999.

Tutto questo è un male? Tendenzialmente no. Il disco ha dei picchi davvero interessanti quando riesce a esprimere appieno la sua anima pseudo-retrò (car freshener aftershave, bullet train), stupisce anche in momenti più introspettivi e maturi (by the way, my favourite restaurant), anche se a volte gioca un po’ troppo la carta nostalgia (al pacino, moreno). In assoluto, come potete vedere dal voto, non siamo davanti né a un capolavoro né a un fiasco. L’ascolto è più che piacevole, scorrevolissimo e a tratti anche coinvolgente. Ma è tutto qui. Liam Brown non firma nessuna brutta canzone tra le undici che compongono softcore mourn, non delude mai le aspettative che ha dato baciando quel computer in copertina, ma purtroppo fa davvero poco per restare impresso.

A meno che non siate fan di questo esatto, precisissimo genere di musica, l’ascolto di softcore mourn accompagnerà un viaggio in macchina, e poi forse ascolterete quattro volte la vostra preferita e passerete ad altro, per poi dimenticarvi della sua esistenza quando stilerete la vostra classifica di fine anno a dicembre. Se invece guardando la copertina di questo disco siete già entusiasti, se il nome pizzagirl e il titolo softcore mourn non vi sembrano too much, allora potrebbe davvero essere il vostro disco dell’anno. Ricordate solo che, ogni tanto, giudicare un libro dalla copertina non è una cosa così brutta. E che da pizzagirl possiamo pretendere un po’ di più, la prossima volta.

Tracce consigliate: Car freshener aftershave, My Favourite Restaurant