Ho conosciuto Peter Broderick nella sua casa a Berlino in Germania in Europa un paio di settimane fa, nella sua shiederstrasse hugerstrasse mainerstrasse.

Non che volessi entrarci ma mi ci hanno portato dentro gentilmente e non si può dire no.
Peter era seduto a bordo vasca, armeggiava con un paio di cuffie e si faceva domande, collegava microfoni e tastava pianole lunghe quanto un avambraccio, collegava cavi.
Poi iniziò a cantare.
Io, in piedi con la schiena poggiata, pensai che Peter Broderick fosse uno tosto, voglio dire, è un tizio che ha bene o male la mia età e a prescindere dalla sua posizione economica ha capito come è bene vivere la vita, registra cd con scadenze regolari, è un polistrumentista, collabora e ha collaborato con gente altrettanto tosta, Efterklang, Nils Frahm, e il suo penultimo cd è un sito internet (http://www.itstartshear.com, leggi qui), e quello che fa mi piace.
Io, in piedi con la schiena poggiata, cominciai a pensare che la mia vita faceva schifo.
Peter B. continuò a cantare comunque, con le dita poggiate sulle chiavi bianche, con gli occhi socchiusi, e la bocca storta; registrava una prima linea la metteva in loop poi ci cantava sopra armonizzando e poi ancora una volta, e ancora di nuovo, poi guardava il ragazzo col basso che poi cominciava a suonare.
Stava cantando I’ve Tried, mi disse un tizio con la schiena poggiata su un pezzo di muro accanto al mio.
Mi disse anche che era un pezzo del suo ultimo album These Walls Of Mine, un album intimo dove era la voce a farla da padrona, non solo la sua ma anche quella di amici conoscenti sconosciuti. Non che gliel’avessi chiesto ma me lo diceva gentilmente e non potevo certo dirgli no.
Ma in effetti aveva ragione, These Walls Of Mine era il suo ultimo album, un album di parole e canzoni di vita, che non saprei definire in altra maniera.
Sì perché se avete fatto anche solo un salto in quel famoso sito che è anche un album ormai dovreste aver capito come B. procede, ogni canzone è solo la parte finale del processo. Il punto focale della situazione è l’evento al quale la canzone si riferisce, la canzone non è altro che un processo di metabolizzazione a posteriori, una sorta di pentola di latta dove B. inserisce tutto quello che potrebbe aver a che fare col dato evento, magari anche in maniera confusionale e tecnicamente nonsense. E’ come quando conserviamo le foto degli amori passati o del gatto che ci è morto in un posto segreto che sappiamo solo noi, si è la stessa cosa. Solo che B. nel pentolone di latta ci mette anche le foto del gatto del vicino, o le foto ricevute per mail da qualcuno che conosce poco o molto poco.
Questo è quanto, tutte queste parole sono poi accompagnate da un tappeto musicale che non fa rumore, o perlomeno non più di tanto, a tratti simile a un beat box d’annata, a tratti ad un carosello R&B, a tratti, per qualche secondo, mi è venuto in mente pure Nick Drake.
La title track è una cosa tosta divisa in due parti, prima ti legge il testo seduto davanti al caminetto poi si lamenta che così non va e rifà tutto su una base hip hop.

Uscii da casa sua e mi trovai nella sua shiederstrasse hugerstrasse mainerstrasse.
Non che non volessi star lì, ma ero stanco e mi ci avevano portato gentilmente.