La scena nugaze è, ormai all’orecchio di tutti, in forte declino. Così come nel 1991, l’uscita recente di un album dei My Bloody Valentine ha raffreddato gli umori verso la scena dei fissatori di scarpe. All’epoca fu Loveless a decretare la fine dell’età d’oro dello shoegaze, ora è stato MBV a segnare la conclusione del revival. I Nothing, al loro secondo disco, cercano di andare oltre il mero rumore e di costruirsi una carriera che potrebbe aprir loro le porte dei grandi concerti aggiungendo obiettivi, certamente non velati, da classifica. Tired Of Tomorrow riesce al contempo a soddisfare i palati degli shoegazer e quelli più sfacciatamente grunge, aprendosi anche all’arena rock e a certe sfumature più pesanti (Whirr pre-debutto, Jesu, Deafheaven). È un disco che può sembrare eterogeneo ma che ha in realtà una gran compattezza e fa quadrato attorno alla voce di Domenic Palermo.

Il lavoro si divide in due parti distinte: la prima è composta dalle canzoni che sono ancora legate a doppio filo al precedente Guilty Of Everything: muro di suono, voce reiterata e chitarre ricche di echi e riverberi. Spiccano le radiofoniche: The Dead are Dumb e A.C.D.. Fino a questo momento è tutto un alternarsi tra le sonorità inglesi di Ride e Swervedriver, ed è proprio la ballata Nineteen Ninety Heaven (con la batteria che copia pari pari il ritmo di Dreams Burn Down e la soffice chitarra di Vapour Trail, entrambe dei Ride) a dividere il disco a metà. Da qui in avanti sono i fuzz a sostituire le languide chitarre. Curse Of The Sun si nutre dei brani più tirati di Siamese Dream degli Smashing Pumpkins, mentre Eaten By Worms, ha una intro che ricorda non troppo allusivamente Black Hole Sun dei Soundgarden, per poi abbandonarsi a se stessa ed esplodere in un pezzo tipicamente post-grunge: power chord ignorante e distorsore a manetta.
Gli ultimi tre pezzi sono delle ballatone, un po’ lagnose, che arrivano forse nel momento più stanco dell’ascolto; menzione per la conclusiva titletrack, tutta pianoforte con arrangiamento d’archi in climax fino a spegnersi.

Tired Of Tomorrow ci fa comprendere come i Nothing non vogliano più essere soltanto una indie band costretta a scavarsi il proprio spazio tra altri mille gruppi che probabilmente verranno dimenticati. Il loro percorso non sarà di certo facile e senza imprevisti, ma il talento c’è; speriamo soltanto esso non sia come questo album che vive unicamente di scatti fulminei e piccoli passi, cammina e poi corre come un atleta che ricomincia ad allenarsi dopo una lunga pausa. Ci sono certamente degli ottimi spunti e buone canzoni che sia in radio che ai concerti saranno trainanti, ma nella versione da studio ci sono ancora tanti spazi vuoti che hanno bisogno di essere colmati. Il timore è che stiano facendo il passo più lungo della gamba e, forse, quello spazio tra mille altre band non era poi così stretto.

Tracce consigliate: Nineteen Ninety Heaven