Partiamo da molto lontano: è il 1968 e Wendy Carlos incide su un registratore ad otto tracce con un Moog grande quanto la parete di camera tua un disco che si chiama Switched-On Bach. In sostanza, Carlos prende Bach e lo registra voce per voce con un sintetizzatore; il disco ebbe un successo clamoroso e aprì la strada a Robert Moog e alla nuova musica elettronica colta. Con uno schiocco di dita siamo nel 2015 e stiamo ascoltando il nuovo disco di Nicolas Godin, Contrepoint. Anche Godin si ispira a Bach, e vuole dargli un respiro più ampio, più moderno. Quella di Godin è una versione di Bach aggiornata all’epoca dello strapotere tecnico e tecnologico: se Carlos sopperiva alle carenze dell’epoca con l’inventiva, a Godin tocca riformulare totalmente Bach perché scimmiottarlo sarebbe troppo facile. Si tira su le maniche e trova “another way around these things” come il francese fa dire, nella disneyana Glenn, al quasi leggendario pianista Glenn Gould, che smise di suonare in pubblico a soli 31 anni perché privo di stimoli. Proprio questo è successo a Nicolas con gli AIR: finiti gli stimoli in un progetto si cercano altrove, si passa a Bach. È una sfida non da poco.

Godin non traspone Bach, non lo trasla, non lo traduce: Bach è una piattaforma, una base di volo dalla quale decollare. Infatti si inizia con Orca che quasi all’improvviso viene stravolta da contrappunti bachiani in un’overdrive sfacciato, riconoscibili anche a chi non ha studiato musica classica: Bach si associa automaticamente ad alcune melodie riconoscibili, al suono del pizzico del clavicembalo, a tutto quell’insieme di cose farcite nella nostra testa con parrucconi bianchi, scarsa igiene personale e vita di corte. Piece Nine prende quota dal tempo della celeberrima Take Five di Dave Brubeck, ricordandoci che Godin non vuole solo omaggiare la classica: Godin mischia e fa un po’ quello che vuole. E quindi ecco, dentro c’è pure il jazz, ma sempre con quei tocchi melodici barocchi che ricordano il caro Bach. Ad un certo punto appare pure il brasiliano Marcelo Camelo, in un pezzo lievemente bossa, ovvio, dal nome Clara. Poi c’è l’italianissima Quei due, con un racconto scritto da Baricco recitato da una voce femminile e strumentato splendidamente da Godin. Bach Off, a parte il titolo buffo, è un pezzo serissimo, il migliore di Contrepoint: una suite lunga sette minuti, strumentale, che spazia dai ritmi africani ai sassofoni suadenti ai colpi di pianoforte aggressivi ai sintetizzatori stellari; ci porta alla finale Elfe Man che sembra una ninna nanna che qualche compositore romantico s’è dimenticato di comporre.

Quando si punta in alto è facile cadere fortissimo a terra. Godin punta in alto ma con un’ottima base (compositiva, forse ideologica della sua musica) quindi non sembra mai sbilanciarsi, si inventa un disco che suona benissimo e non risulta pretenzioso, noioso, classicheggiante o barocco, nonostante le premesse facessero temere; alzi la mano chi non ha temuto. E invece Contrepoint è un disco notevole, studiato e consapevole; un bel disco.

Tracce consigliate: Club Nine, Bach Off