Un titolo che puzza di quella poetica tardoadolescenziale à la Vasco Brondi, espressione e capigliatura del primo piano in copertina che giocano con l’iconografia di Jim Morrison, la firma di Riccardo Sinigallia in calce. Infine, il ritmo trascinante di Prima o poi ci passerà, primo singolo estratto, come ultimo tassello dell’intrigante rebus spuntato all’improvviso sui social, in un giorno di marzo 2016.
Chi è questo Francesco Motta di cui fino a ieri non si era mai sentito parlare e che ora tira fuori un disco d’esordio che gli addetti ai lavori sembrano aver atteso a lungo (e di cui si dimostrano palesemente entusiasti)? Il terrore che si tratti ontologicamente in buona percentuale di hype è palpabile, perchè solo pochi mesi prima si assisteva ad una roba simile con un certo Calcutta. E però a stare a sentire quel brano di cui tutti si affrettano a condividere il videoclip sul proprio profilo Facebook, accattivante col piano che si interseca moderno e disinvolto tra le linee di basso e l’attitudine afro delle percussioni a condurre i layer vocali, beh, c’è da ammettere che non si tratta della canzoncina appiccicosa di turno, bensì di pop maturo e sapientemente levigato.
Dopo un ascolto attento de La fine dei vent’anni e qualche nota biografica in più, il sospetto di essere inciampati in una sfilza di pregiudizi diventa certezza e c’è bisogno di fare ammenda.
Motta non spunta fuori dal nulla: ha alle spalle due album con una band, i Criminal Jokers, con cui è giunto gradualmente dalla new wave in lingua inglese al songwriting in italiano che sfoggia oggi in versione solista. Oltre ai progetti personali, il Motta polistrumentista ha dalla sua la militanza sui palchi di artisti come Nada, Zen Circus e Pan del Diavolo, per cui i personaggi del circuito indipendente che oggi lo supportano lo fanno con cognizione di causa. D’altra parte, al debut del cantautore hanno partecipato attivamente molti altri artisti oltre alla scuderia dell’ex Tiromancino: oltre al basso di Laura Arzilli, moglie e partner artistica di Sinigallia, ci sono la chitarra di Giorgio Canali e l’elettronica di Cesare Petulicchio (metà dei Bud Spencer Blues Explosions).
Ancora: la poetica di Motta è sì incentrata su una fase dell’esistenza abbondantemente saccheggiata dai cantautori indie italici, ma si tiene alla larga da cliché e autocommiserazione, con sguardo lucido e – nei limiti del possibile – persino sereno sull’inevitabilità delle transizioni: “non devi sbagliare strada, non farti del male e trovare parcheggio”, la title-track scorre agrodolce nel dispensare ironici vademecum tra la melodia ostinata delle chitarre, le stesse che si fanno fondale sinistro e graffiante in Una Maternità, mentre Motta canta beffardo “conservi i ricordi per farci un incendio, ti sei abituata alla perplessità”, in un brano che chiude il disco senza tentare di scioglierne le inquietudini.
C’è tanta tradizione cantautoriale in quest’album, e altrettanti escamotage incaricati di attualizzarla, a partire dagli arrangiamenti delle percussioni, eclettiche e stratificate, quasi sempre fondamentali nel caratterizzare il brano e portare a casa il risultato, sia che si tratti dei morbidi tribalismi di Prenditi quello che vuoi, sia che si facciano lisergiche e ossessive ad introdurre gli energici incisi di chitarra di Roma Stasera. A fare da contrappeso nell’equilibrio precario c’è il timbro di Francesco, incisivo e riconoscibilissimo, che a tratti evoca il Manuel Agnelli più asciutto e si muove disinvolto in impasti sonori sofisticati, come quello del frangente virtuoso dei Tiromancino (tra La Descrizione di un Attimo e Due Destini, ossia quando erano Sinigallia e consorte a condurre il gioco), ma anche quello del primissimo Max Gazzè (il mood sfrontato di Se continuiamo a correre è quello del talentuoso bassista appena divenuto cantautore). Anche gli episodi più sfacciatamente pop trovano il modo di non risultare scontati: il ritmo di Mio padre era un comunista molleggia reggae come un retaggio adolescenziale, sempre in agguato quando si tratta di guardare alla propria famiglia con occhi da adulti, mentre la storia di un transessuale narrata tra le righe di un ritornello estremamente radiofonico fa di Sei bella davvero molto più di un tormentone estivo.
Nel godersi questo primo capitolo del percorso di Motta resta solo da sperare che la Sugar non ne fagociti la genuinità, che a conti fatti è la carta vincente di tutto l’album.
Tracce consigliate: Roma Stasera, Una Maternità