Sono passati ben quattro anni da Home Again, debut album di Michael Kiwanuka.
Io quell’album lo divorai come pochi.
Voi ve lo ricordate?
Una vera sorpresa cosi’ distante dalle mode del momento, che andava
a riprendere fedelmente le sonorità Soul a me care, dove ogni pezzo ti stendeva al primo colpo.
Home Again è stato per me (e tanti altri,credo) uno scrollone emozionale non indifferente e davvero provvidenziale in difficoltosi tempi di incertezze che stavo vivendo, ed ha permesso in una scala globale all’ascesa del movimento definito “nu-soul” di cui fanno parte giovani speranze dalle voci portentose e strabordanti d’anima come Leon Bridges, Sampha, Kwabs e Llanne La Havas.
Un exploit devastante, poi quel timido ragazzo portentoso è sparito, un po’ à la Jamie Woon: per fortuna ora siamo qua a raccontare del suo secondo attesissimo lavoro.

Love & Hate è la naturale continuazione del percorso intrapreso da Michael Kiwanuka: nessuna sterzata violenta verso altri lidi, semmai una evoluzione del suo stile unico insospettabilmente contaminato da tanti generi, dove comunque la black music regna sempre sovrana.
Michael ha il potere rarissimo di attingere dai propri riferimenti musicali che lo hanno cresciuto nei grigi sobborghi di North London dando una nuova espressione personale ad elementi ben distinguibili per tutta la durata dell’album. L’utilizzo dei cori alla Isaac Hayes, la delicatezza di Bill Withers e l’affinità estremamente naturale alla classe del dimenticato Terry Callier sono solo alcuni delle caratteristiche principali che descrivono il suo ulteriore passo in avanti in fatto di arrangiamenti.
Michael ha tenuto lì appesa per la maggior parte di queste session la chitarra acustica a favore di un suono più articolato, elettrificato ed intenso: ne va forse a discapito della cristallinità e dell’immediatezza dei brani se paragonati alle gemme datate 2012, ma il ragazzo non è certo uno sprovveduto e sa come stupirci nuovamente.
Apre Love & Hate l’ambiziosa e sorprendente Cold Little Heart, un brano di 11 minuti… sì esatto hai letto bene, te lo saresti mai aspettato da Mr. Kiwanuka un amore smisurato verso i Pink Floyd, tra un’apertura di 3 minuti abbondanti di Hammond e una slide guitar sognante? Osa bene e fa emozionare non poco, e sorprende di nuovo con la successiva Black Man In A White World in cui è il suo sangue africano a dettar leggere, con ritmiche afrobeat che riprendono Fela Kuti e Mulatu Astatke.
Da lì a poco capisci che la storia si sta ripetendo: anche se i pezzi non sono immediati come in Home Again, ci mettono veramente poco a trovare un posticino nel tuo cuore.
Alcuni esempi?
Prendi il singolo perfetto Falling dove si permette di dare lezioni di songwriting ai suoi colleghi, i tre minuti scarsi magici e diretti di I’ll Never Love o l’irrequietezza di Rule The World: sono tutte le parti di Michael che funzionano benissimo insieme e che si lasciano spazio l’un con l’altra senza prendere il sopravvento.
Il mood di Love & Hate è esplicitamente melanconico: lo percepisci sia da come è (superbamente) suonato, sia dalle lyrics semplici ma lontane dall’essere banali, posizionate sempre nei posti giusti. È il lavoro di una persona appena uscita da una relazione importante, che ne analizza le perdite con la testa e con il proprio cuore, ed ha paura di non essere più capace ad amare ancora. In eterna indecisione tra il riprovare ed il meritarsi di stare solo lascia il finale della sua storia alla dolce, ironica e bellissima The Final Frame, il classico terzinato soul che avrai voglia di ascoltare non sai quante volte, in cui sembra accettare con il suo timido sorriso di dover andare avanti.

L’attesa ha ripagato e Michael Kiwanuka ha composto un altro ottimo lavoro che è schizzato prepotentemente in testa alla UK Chart, quale sarà il suo segreto?
Che forse essere capace di scrivere canzoni senza tempo, sincere, o semplicemente belle può ancora far di gran lunga la differenza.
Ed ora, dopo queste prove generali, aspettiamo il tuo capolavoro.

Tracce Consigliate: Cold Little Heart, The Final Frame