“Ecco, in quei momenti giungevo talvolta a un punto di grande inquietudine.
[…] Ecco, in quei momenti mi pareva di essere chiamato chissà dove,
e che, se fossi andato sempre dritto, se avessi camminato a lungo,
e avessi oltrepassato quella linea laggiù,
proprio là dove il cielo e la terra si incontrano,
là ci sarebbe stata la chiave dell’enigma,
e immediatamente avrei visto una nuova vita,
mille volte più intensa e rumorosa che da noi”.
(
Fëdor Dostoevskij, L’idiota, Parte Prima, V)

Under The Sun è per Mark Pritchard la destinazione ultima, il punto per cui passano tutte le rette; là dove il cielo e la terra si incontrano. È insomma la quadratura del cerchio, in senso artistico, di produzione, e identitario: dopo numerose release, molte delle quali in formato dodici pollici, e in età ormai avanzata, Mark Pritchard non solo porta alla luce il suo primo full-length, ma cerca anche in questo la chiave del totale e decisivo enigma: “Chi sono io?”.

Non è una coincidenza allora che l’opener di Under The Sun sia ?, come non è un caso che questa traccia, risalente al 2009, sia la prima produzione firmata Mark Pritchard, e dunque col nome di nascita.  Da subito è così marcato l’aspetto personale-identitario dell’intero lavoro, di Under The Sun. Se prima infatti si avvicendavano in modo nervoso tanti pseudonimi da provocare in Pritchard un disturbo dissociativo dell’identità, oggi tutte queste parti coesistono in Under The Sun un po’ come il dottor Jekill e Mr. Hyde, e quindi in una naturale contrapposizione, in un equilibrio tra i contrari, in un continuo conflitto tra nature diverse ma della stessa forma.

Il primo album di Pritchard si apre quindi con ?, una traccia tanto essenziale quanto diretta, che arriva fino al profondo intimo come l’assillo che più tormenta, come la domanda più stringente e ingente per qualsiasi cuore umano. ? e gran parte delle tracce di Under The Sun sono lunghe conversazioni interiori, coinvolgenti musicalità fitte e statiche. Le poche variazioni armoniche (Falling, Sad Alron) è come addormentassero la veemenza e l’impeto più animale dell’uomo, è come limassero le punte più ispide e rozze del suo carattere – materializzate per mezzo del drum di Infrared – ed è come mettessero a tacere le fastidiose voci accentuate dal megafono della isterica paranoia umana (The Blinds Cage). Pritchard comincia così ad accarezzare l’animo umano, ad averne affettuosa premura come in You Wash My Soul, dove l’arpeggio scandisce la cullante nenia di Linda Perhacs; per poi, in Cyles Of 9 ed Ems, come in una clinica introspezione, costringere a mettere in discussione la propria persona, al fine di rimettere al centro questa e la propria vita.

Il caleidoscopico lavoro contempla al suo interno le vecchie rughe e i pronunciati nei di Pritchard. A parte il cameo folky pop con Bibio in Give It Your Choir e la melodia fiabesca di Beautiful People – che conta la presenza della voce ubriaca di Thom Yorke su un fiato incantato – Under The Sun è il luogo dove tutti gli alter ego di Mark Pritchard si incontrano pacificamente, dove le influenze e gli stili si legano in un abbraccio chimico come nella traccia che più di tutte contiene l’insieme: Under The Sun. Il primo album di Pritchard è lontano dalle piste da ballo; le tracce, spesso potenzialmente forti ma inutilmente lunghe, ora aiutano a scavare schizofrenicamente con le unghie il fondo del proprio io, ora alimentano il senso di sazietà proprio di chi è annoiato. Tuttavia, a detta dello stesso Pritchard, Under The Sun è un po’ la sua stessa esperienza personale e intima che, se provata con l’umore giusto e allontanandosi da distrazioni, catapulterà nella realtà che con maggiore vigore si vuole abitare, che ogni cuore umano desidera: là dove il cielo e la terra si incontrano, là dove c’è la chiave dell’enigma, là dove si sperimenta una nuova vita, mille volte più intensa e rumorosa.

Traccia consigliata: Under The Sun.