In un momento estremamente critico per la musica italiana, incastrata tra la pochezza della musica leggera e un it-pop ormai al capolinea, smarrito in una povertà di contenuti ai massimi storici; in un momento nel quale molti talenti emergenti si dedicano all’esterofilia, arriva Stupide Cose di Enorme Importanza, disco di debutto di Marco Giudici (se non si conta il precedente progetto Halfalib). Un album semplice che non si affida alle storielle sbrigative usa e getta, ma che scava dentro la quotidianità di chi lo ha scritto per definirne i tratti ed i cambiamenti.

Chiunque abbia bazzicato i locali della provincia o della grande città lo conosce già, così come chi lavora nell’ambiente. Juju (il soprannome di Marco, ndr) è la longa manus della quale tantissimi artisti si servono per gli arrangiamenti, per la produzione e per i live. Any Other il progetto più noto, ma si aggira qua e là tra le cose di ColapesceRaresGeneric Animal e di molti altri, anche se tendenzialmente non è uno da entrate trionfali con la 10 sulle spalle e gli spalti gremiti. Ed un progetto “nome-cognome” gli permette (come da lui stesso affermato) di non esporsi troppo. Anche se, di fatto, questi nove brani sono completamente dedicati a se stesso e lo sovraespongono, in proprio, irrimediabilmente.

La sua è una prova solitaria e lucida che parte dal dato materiale. Un aspetto che salta immediatamente all’occhio è, infatti, la fisicità che fa da impalcatura a tutta la parte autoriale, accompagnata da finissimi tappetini slow e smooth jazz fino al neo cosmic e a Final Fantasy. Come in una sorta di poesia corporea e materica (a tratti in effetti un po’ ridondante) che rompe lo schermo per entrare in contatto diretto con l’essenza del corpo e delle cose.

Non è un caso, infatti, se le prime parole dell’album si riferiscono alla testa o alle ossa. Queste ultime, in particolare, sono un tema che torna in quasi tutti brani: dalle “206 ossadi Spremuta D’arancia, alle “botte sullo sterno” di Nei Giorni Così. Il dolore fisico è una costante. Schiena, piedi (Risaie Amare); arti tagliati, copri agitati (Forse è un Grazie) e nasi e, ancora, la schiena (Pallonata con fotografia). Tutto è immediatamente percettibile con il corpo prima che con la testa. Tutto è rotto, tagliato e dolorante. E questo elemento corporeo così diretto appare come una metafora delle cose nude e finite (o “ridotte all’osso”, appunto) e come una metafora della consapevolezza ri-trovata.

Oltre al corpo ci sono gli oggetti quotidiani, che offrono lo spunto per interpretare la realtà, senza aver bisogno di cercare nel cielo o nella luna le risposte, indossando la maschera del poeta alto. In questo senso, c’è molto di Calcutta-autore: il rapporto Amarena/Spremuta d’Arancia/Limonata o quello tra “fare il bucato” di Risaie Amare e “lavare i piatti con lo Svelto” di Frosinone. Insomma, la scrittura non è un mezzo per trovare il senso profondo della verità, ma uno strumento per analizzare la realtà e prendere coscienza del vuoto che ci circonda, descrivendo una condizione personale. E chiaramente anche per ricordare amori o amicizie. E questo vale anche per gli intermezzi. Prendiamo A volte mi sento solo: non c’è nulla di dire, solo schiacciare a caso un tasto mentre la testa va in buffering. Un punto di connessione lo si può trovare in Pallonata con Fotografia dove, appunto la fisicità ed il gioco di parole svelano un disagio.

E tanto lo so/sopportare un naso rotto/E se non mostro disagio/É un mostro che tengo per me.

L’altro elemento preponderante di Stupide Cose di Enorme Importanza è quello urbano che, va da sé, è indissolubilmente collegato alla solitudine ed alle relazioni domestiche. Le sue sono storie di città, di mozziconi, garage ed architettura condominiale a misura d’uomo, come il posto per commensali che non ci sono, TAAAC. Solo che Renato Pozzetto ha usato la commedia per parlare del risultato di accurate ricerche a dimensione d’uomo, dove tutto è bello e funzionale e le finestre sono sorpassate: “Questa sì che è vita, TAAAC.” Marco invece parla di “Perfezione alla portata di un uomo rotto” in Forse è un Grazie, brano di indubbia sofferenza ma anche di piena consapevolezza. E colpisce in modo più violento chi con i palazzoni ed i monolocali è abituato a fare i conti, quando il senso di estraneità entra nelle ossa, come dentro un guscio vuoto che prima era un nido.

Stupide Cose di Enorme Importanza è un album di una sensibilità rara. Un album con il quale Marco Giudici guarda alla parte più profonda di se stesso, spesso nascosta dietro quel grosso piumino colorato delle serate invernali. E va ad una profondità così abissale che per poterlo seguire devi imparare a compensare come un sub.

Tracce consigliate: Forse è un grazie, Stupide cose di enorme importanza, Pallonata con fotografia