Torniamo (torno), dopo meno di un anno dall’ultimo incontro, a seguire le orme musicali dell’instancabile Marc Almond. Lo avevamo lasciato con una più che discreta narrazione della Londra male: sangue a fiumi, nebbia per la quale il proverbiale coltello non basta (anche perché per i brutali personaggi di The Tyburn Tree, la lama serviva a ben altro), le acque torbide del Tamigi e, onnipresente, il minacciato e minaccioso cappio della forca. Niente di più lontano da questo nuovo album, The Velvet Trail, spudorato tuffo nel pop inteso come a casa Almond lo si intende: decadente, nostalgico, ora disperato, ora ottimista ma non troppo.

The Velvet Trail avrebbe la pretesa di essere una sorta di opera divisa in tre atti, con una breve introduzione strumentale ciascuno. Nella pratica soltanto il primo dei tre atti sembra avere un carattere peculiarmente proprio, più sgargiante e luminoso a livello musicale senza mai scadere nel festaiolo ma con il consueto sottotesto di malinconia. Vi si trovano infatti Scar, che per tematiche trattate e a livello di impostazione dell’ugola, ricorda il Morrissey più vocalmente vivace degli anni 90 e Zipped Black Leather Jacket fa altrettanto. E poi Minotaura dramatic song about rage and animal passions
È lancio in aria di coriandoli e glitter per la pederastia di Demon Lover, tripudio di vocalizzi ansimanti e armonie imbevute di edonismo (molto poco romantico, molto fisico) anni 80. A fare da perfetto contraltare sono tracce come The Pain of Never e la titletrack, cupi ceselli di malinconia. O ancora Winter Sun guidata e introdotta da un piano che non può far presupporre altro che aperture e vocalizzi estasianti ma non troppo.

L’album non è solo un completo cambio di rotta ma è anche e soprattutto una dimostrazione di solida qualità nella quantità, sedici tracce non sono poche. Il voto che mi sento di conferire è quello là sopra; la qualità c’è eccome (Scar, mi ripeto, è una delle canzoni che Moz avrebbe voluto avere in uno dei suoi vecchi album) ma poco riesce a prendere veramente il volo. La maggioranza delle tracce sono dignitosissimi, anzi, buonissimi esercizi di pop messi in scena da un maestro e la differenza con emuli più giovani e inesperti si sente tutta. In ogni caso a seconda delle vostre inclinazioni (per dire, se vi svegliate canticchiando gli Erasure, usate i Duran Duran come suoneria e vi siete disperati per la recente dipartita di Steve Strange) sentitevi pure liberi di aggiungere decimali a vostro piacimento.
Pare proprio che di questo passo non riusciremo mai a liberarci di Marc Almond, per fortuna.

Tracce consigliate: Scar, The Pain of Never.