Una vita difficile, dovuta al fatto di non aver mai conosciuto il suo vero padre, la morte qualche anno fa del patrigno a cui era molto legato e una malattia (ADHD) che si porta dietro fin da piccolo, hanno contribuito a dar vita a Yesterday’s Gone, una delle opere prime più interessanti che l’hip hop inglese abbia mai visto , firmata dal ventiduenne di West Norwood (Londra), Benjamin Coyle-Larner. Lo pseudonimo scelto, ricavato dall’inversione delle iniziali del suo doppio cognome, è un modo per ricordare i suoi problemi di dislessia, che con non poche difficoltà lo hanno comunque portato ad iscriversi alla Brit School, lasciata nel 2014 dopo la morte del patrigno.

Tutto questo confluisce in un rapporto a dir poco conflittuale con la religione, come spiega bene e senza troppi giri di parole in The Isle Of Arran, brano che apre il disco. A una breve intro composta da un coro gospel che recita The Lord Will Make My Way (campionato da un brano del 1969 della SCI Youth Choir) il giovane rapper londinese segue spiegando subito il suo rapporto con Dio: No, I don’t believe him /But know that I’ve been grieving/Know that I’ve been holding out, hoping to receive him/I’ve been holding out for G but he was nowhere to be seen, e raccontando di come nonostante gli insegnamenti della madre la realtà gli si sia manifestata in maniera cruda e brutale (My mother said, “There’s no love until you show some”/So I showed love and got nothing, now there’s no-one/You wonder why I couldn’t keep in tow, son?/I wonder why my dad didn’t want me, ex didn’t need me..).

Per i suoi trascorsi di vita tutt’altro che semplici e la giovane età era lecito aspettarsi un disco dai contenuti aggressivi  su beat duri e grezzi e invece, nonostante gli argomenti trattati decisamente cupi, il lavoro ha un sound avvolgente che trasmette un’energia positiva dall’inizio alla fine. Vale la pena soffermarsi anche sull’ottima produzione (dell’amico Rebel Kleff), composta per lo più da piano, fiati e chitarre, un sound a tratti jazz e soul che si sposa alla perfezione con i beat in stile boom bap anni ’90 e la sua voce calda e impastata, arricchita da un inconfondibile e marcato accento londinese; il suo storytelling eccellente, unito a flow e metrica impeccabili, rende questo disco omogeneo, anche grazie a una personalità e maturità fuori dal comune per un ragazzo di soli 22 anni.

Siamo di fronte ad uno di quei dischi in cui è difficile se non impossibile scegliere un brano migliore dell’altro, talmente alti sono sia contenuti che produzione, ma possiamo citare uno dei più toccanti, Sun Of Jean, dove i suoi genitori si riuniscono virtualmente (il piano è suonato dal padre e la madre è presente con uno spoken word sul finale) in una canzone dolcissima dove Loyle Carner esprime tutto l’amore che ha per la genitrice (We let the love pour into our brain/Another day doing more to maintain/Saying finally those tears in my mother’s eyes/Tears from the other side/Tears of joy, her little boy’s got his mother’s pride) e il fratello (So I tell him brother listen/Listen, when the sun don’t glisten/All the days turn grey and the love goes missing/Hate won’t fade and the front row hissing/You’re the only one that keeps my heart wishing).

Yesterday’s Gone più che un disco è il diario di un giovane ragazzo di periferia che racconta di come, tra lutti, malattie e mille difficoltà, sia comunque possibile riscattarsi piuttosto che perdersi per strada, e alla fine dell’ascolto è onestamente difficile non rimanere emozionati dalla sua storia.
Onesto, coinvolgente e mai banale, uno dei debutti migliori di sempre della storia dell’hip hop inglese, accostabile per certi versi a 6 Feet Beneath the Moon del suo compagno di scuola King Krule, ma dal sound notevolmente più ricco e dai contenuti di uno spessore ben maggiore.

Tracce consigliate: The Isle of Arran, Sun of Jean, Ain’t Nothing Changed.