Quando una nuova band entra in Sub Pop le antenne si drizzano ed iniziano a vibrare un casino. Si sparge la voce e sono tutti lì con gli occhi addosso alla nuova creatura. E così è stato anche per i Kiwi Jr., che sono approdati alla label di Seattle dopo il primo album Football Money e che ora, con ogni probabilità, si stanno sentendo molto osservati.

Rispetto all’esordio, la band di Toronto ha lasciato per strada le sonorità grezze per spostarsi – nel bene e nel male – verso una produzione più compatta e pulita. E radiofonica. Nel male, perché la pulsione giovanile, caratteristica di chi vuole solo smanettare sulla chitarra e fanculo tutto il resto, viene sostituita da un jangle più borghese. Nel bene, perché Cooler Returns suona benissimo e poco importa se il paragone con i Pavement – che nel corso degli scorsi mesi era stato il leit motiv della critica – inizia a diradarsi. Si respira ancora l’attitudine fancazzista, ma nel complesso è come se i Kiwi Jr. avessero già deciso di smetterla di ingollarsi fusti di birra a testa in giù. Rimangono belle citazioni, come Only Here for a Haircut (vedi Cut Your Hair) ma la band di Stephen Malkmus è musicalmente un po’ più lontana.

E quindi, come suona?

Cooler Returns suona velocissimo (13 tracce in 35 minuti scarsi), senza brani riempitivi o eccessi inconcludenti. E suona in tutti i modi in cui può suonare l’indie-rock-vecchio-stile: da salotto ma anche festaiolo, dinamico e con momenti mega catchy. Pizzica elementi da tutte le possibili deviazioni dell’indie-rock-vecchio-stile e continua a cambiare, alternando vintage e pop punk; armoniche, rock anni ’90 e chitarre dello scorso decennio. I Kiwi Jr. girano e girano e si infilano senza menate nei Rolling Stones (Norma Jean’s Jacket), nei Kinks (Tyler) o nei R.E.M. (Undecited Voters). E poi nel garage (Maid Marian’s Toast), negli Strokes (Guilty Party) e ovviamente nell’indie facilone da festa in cui ci diverte ma non si sa come ballare, come quando movimentano la pista in Highlights of 100, in Domino e nella title track Cooler Returns. Chitarre da The Vaccines e giubbottini ganzi, per intenderci.

Anche con le liriche siamo nel mood già conosciuto e ben collaudato, quello che non si prende mai troppo sul serio. A volte sono sgangherate, come quelle di Omaha (Tigers in the coliseum / Lions at the Comfort Inn / Ra-ra Omaha / Home of the husbands), a volte tendono all’ironico, come in Undecided Voters (But you’re going to art school now / So what do you care anyhow? / You take a photo of the CN Tower / You take another of the Honest Ed’s sign) e ci dicono che i 4 canadesi sono attenti osservatori.

Cooler Returns è un album estremamente confortante. Suona un po’ come andare al mare sempre nello stesso posto ed è perfetto da ascoltare durante il tragitto, quando ancora mancano 400 km e ti sale la voglia di fare un tuffo dagli scogli. Tutto si ripete: la solita coda al solito casello autostradale, la piazza, la spiaggia e i palloncini di Spiderman sempre uguali da 20 anni, ma quello è il posto del cuore e, anche se talvolta ti annoia, lì senti cose che non senti da nessun’altra parte. Non è certamente un album definibile originale ed è anche pieno zeppo di cose già sentite, ma vuole metterti di buonumore e, sebbene i tempi non siano propizi e la costa ancora lontana, forse forse ci riesce.

Tracce consigliate: Cooler Returns, Undecited Voters