Nella copertina di 99,9% c’è un Kaytranada caleidoscopico, multiforme, chiuso in un’unica figura fatta di tanti occhi, colori, forme ripetute. Un prolificarsi iconico che è diretta espressione della sua musica: produzioni ricche di contaminazioni, groove, eleganza, culture. Ma se col primo disco l’immagine caleidoscopica era funzionale per descrivere la varietà di Kaytranada, in BUBBA la stessa non basterebbe. Le mille facce della figura, nel nuovo album dell’artista di Montreal, vanno infatti in frantumi: dalla forma variopinta ma pur sempre rigida del caleidoscopio, si fa un passo successivo, il totale si frammenta in un risultato ancora più fluido di suono; un fluido che scorre tutto sotto il segno di un denominatore comune: l’imperativo move!

Move è l’ultima parola che viene pronunciata in BUBBA, è affidata a Pharrell in Midsection, e proprio il movimento, lo sciogliersi sotto il magistero della musica è il filo rosso che lega tutto l’album, il fuoco perpetuo che lo rende davvero notevole. Kaytranada riparte da alcuni punti di 99.9% che già preludevano a questa svolta: titoli come YOU’RE THE ONE e lo strumentale BREAKDANCE LESSON N.1 sono pezzi che possedevano i semi di quello che è il nuovo album e la sua idea di fondo. Il produttore allenta la presa sulle suggestioni rap e hip-hop per stringere con più vigore un sodalizio con l’energia del funk e la sensualità dell’r’n’b. Energia e sensualità: due caratteristiche ataviche, primitive che trasudano da ogni beat. Non a caso, a proposito di primitivismo, emerge con prepotenza un dettaglio ben preciso: i suoni predominanti in BUBBA sono le linee di basso, le percussioni profonde, martellanti, riverberate. Echi cavernicoli, che si radicano nelle fondamenta del muro sonoro che Kaytranada, traccia dopo traccia, ritocca, modifica, rinforza, smembra.

L’album contiene in sé una coesione convincente e al tempo stesso il suo contrario, ovvero una soluzione liquida che scivola in tutta la registrazione. Volumi che cambiano, sezioni che assumono la parvenza di un dj set continuo (il passaggio tra Scared To Death e Freefall) pur sopravvivendo perfettamente nella dinamica orizzontale dell’album. E poi il movimento altalenante di suoni ovattati che d’improvviso, invece, vengono scoperchiati dalla cappa che li avvolge, come nel caso di 10%, uno dei pezzi più belli, che irrompe come sesta traccia dell’album. La voce di Kali Uchis squarcia il velo che fino ad allora c’era sopra a tutto: dopo la proemiale Do it, dopo la voce elettronica à la Daft Punk di Iman Omari, dopo l’invocazione alla musa-dancefloor Go DJ, si arriva all’uscio della caverna con l’interludio strumentale Puff Lah, per uscire alla luce del sole con 10%. Piccole strade autonome, che tutte insieme vanno a costituire l’intera mappa dell’album. Una cartografia cosmopolita, multiculturale, fatta di diverse marce, di voci maschili, femminili, elettroniche, di suoni cupi e suoni alti, di bassi ciclopici e strisce infinite di synth che ricordano la stella cometa sul presepio di un parente anziano (The Worst In Me).

Inoltre, rimanendo sulla forza di 10%, va detto che insieme a Culture, le voci di Kali Uchis e Teedra Moses sono le più forti del disco, quelle che, più delle altre, riescono a risalire a galla e costituire un valore alla pari con le basi, cavalcandole con severità. Non una cosa da poco; infatti, il parterre delle collaborazioni vocali e liriche, sebbene sia sempre ricco e di alto valore, in BUBBA si trova in posizione subalterna. Non un difetto, anzi: la voce diventa uno strumento malleabile, al servizio dell’autore; al servizio dunque delle produzioni di Kaytranada che sono il traino, la testa d’ariete di tutto il lavoro. I testi hanno una potenza cromatica, danno colore, compongono sagome di cartone, marionette che arricchiscono la magnificenza del teatro in cui sono collocate. Altro punto, dunque, che conferma e alimenta lo scopo esplicito dell’album: far sciogliere l’ascoltatore sul movimento tellurico di un groove irresistibile, farlo con tutti i mezzi possibili.

Stiamo parlando di un Kaytranada che con BUBBA sembra più un bambino nella sua stanza dei giochi, anziché un producer in studio. Per la passione e con cui maneggia sensazioni e stati; per la libertà che dimostra di aver raggiunto con gli strumenti e con gli ospiti alla voce; per la capacità ormai raffinatissima di trasferire la propria idea di musica in una vibrazione. Una scossa non meglio definibile ma dominante su tutto, che pervade 17 brani per un totale di 50 minuti strisciando ovunque, in ogni nervo dell’album, e del corpo di chi ascolta.

Una vibrazione che in realtà è un’intera cultura.

This is not a vibe, it’s a culture, nigga!

Tracce consigliate: 10%, Culture, Oh NoThe Worst In Me