Finalmente, dopo un’attesa iniziata il primo maggio (questa la data in cui twittò “June Eighteen”) e una campagna di hype e marketing non indifferente – comunque concentrata sulla musica, come confermato dall’assenza di cover art, singoli e video di lancio, il sesto lavoro solista di Kanye West è arrivato sul mercato.
Il titolo è Yeezus, e se la nomenia pare in bilico tra il sacrilego e l’eccessivo, il rapper di Atlanta non perde occasione per rincarare la dose, affermando “Simply put West was my slave name. ‘Yeezus’ is my god name”.
In un’intervista aveva inoltre annunciato, riguardo al sound dell’album, “It’s like trap and drill and house. I knew that I wanted to have a deep Chicago influence on this album, and I would listen to like, old Chicago house music”, lasciando presagire una virata di stile rispetto alla discografia pregressa, anticipata da alcune apparizioni in pubblico e poi confermata nell’ascolto.
La prima traccia, On Sight, vede la produzione dei soli Daft Punk (che ricompariranno, tra gli altri, anche nelle successive tre) e si sente. La base è minimale, pochissime note analogiche e bip insistenti su cui Kanye rappa aggressivo come mai prima d’ora, un’overture che ci sintonizza sulle frequenze dell’album, anticipando che “The monster’s about to come alive again”.
Black Skinhead è un mix del riff distorto di Hell Of A Life e dell’anima tribal di Jesus Walks, intervallato da un basso insistente e da una batteria che incalza versi febbrili, urla, spasmi, boccheggi di gente che parebbe fuggire da un Kanye assatanato.
I martellamenti proseguono poi in I Am A God, autocelebrazione alla massima potenza (non dissimile da Power) che culmina nelle urla di chi comunque sa di essere “Un uomo di Dio […] nelle mani di Dio”, con chiosa affidata a Justin Vernon.
In un continuum delirante sono ancora le basi essenziali e abrasive a rubare la scena in New Slaves, arricchite dal flow del rapper americano che chiude la strofa accanendosi violentemente contro i potenti (“Fuck you and your Hampton house, I’ll fuck your Hampton spouse, Came on her Hampton blouse, And in her Hampton mouth”) e proclamandosi nuovo Messia (“Y’all ’bout to turn shit up, I’m ’bout to tear shit down, I’m ’bout to air shit out, Now what the fuck they gon’ say now?”), mentre nel finale soul Frank Ocean si diletta a gorgheggiare impeccabilmente.
Ancora Vernon che questa volta apre (come accadeva in Lost In The World) Hold My Liquor, mentre a Chief Keef (classe ’95, classe da vendere) è affidato uno dei ritornelli killer dell’album, il tutto carico di autotune; interferenze chitarristiche e bassi vintage per una traccia potentissima sull’abuso di alcol da mandare in repeat ancora, ancora.
Al giro di boa si vorrebbe gridare al nuovo capolavoro. Le aspettative sembrano essere state mantenute, ma purtroppo la seconda metà dell’album (eccezion fatta per Blood On The Leaves) perde lustro e sebbene il livello rimanga soddisfacente non si riesce ad eguagliare quanto ascoltato finora.
Con I’m In It torna il monster ma pare aver perso smalto, e tra orgasmi femminili e mood da dancefloor Kanye sciorina rime esplicitamente sessuali; nella parte centrale tutto svolta trap con Travis Scott (del roster G.O.O.D. Music) che ruba la scena a Yeezy scagliando liriche velocissime dal marcato accento afro, sino all’ennesima comparsata di Bon Iver.
I sette minuti di Blood On The Leaves, tra pianoforte, autotune e campionamenti chipmunk di Nina Simone e TNGHT, e più specificatamente il climax da sinfonia sintetica, rappresentano i minuti più alti e intensi di Yeezus. Emotività che si intreccia a una produzione magistrale, punto d’incontro naturale tra il vecchio e il nuovo West.
Tra intermezzi afro e fiati, Kid Cudi e archi, Guilt Trip (forse il pezzo più debole del lotto) racconta un’evitabile storia d’amore naufragata.
Si passa poi al momento più primordiale, Send It Up feat King L: basi che paiono un outtake di The Money Store dei Death Grips (i quali in più momenti tornano alla mente nello svolgimento dell’Lp), bassi e sirene, flow lento e ansioso, reggae oscuro nel finale, ma una certa ripetitività che non coinvolge.
Tutto si chiude con Bound 2, la quale farà felici i nostalgici dello stile classico di West, tra cori soul femminili e basi di repertorio; una traccia che sembra uscita da Late Registration più che da questo Yeezus, un respiro di sollievo per chi iniziava a sentire un claustrofobico nodo alla gola, una delusione per chi attendeva trepidante un “gran finale” sulla linea dei pezzi precedenti.
Ad ascolto ultimato si è spiazzati dall’oscurità di Yeezus, dalla violenza e dalla brutalità di un Kanye West che ha anche saputo farsi da parte nei momenti più opportuni per dare spazio alle strumentali. E proprio le basi hanno qui un ruolo fondamentale, con tutte le intrusioni (industrial, house dei più svariati filoni, metropolitan, electro-grind) del caso; una svolta drastica nello stile che vede l’abbandono del rap e delle suadenti melodie (Runaway, Blame Game), persino dei singoloni ad uso e consumo globale (All Of The Lights, Heartless, Gold Digger, Love Lockdown), in favore di un’apertura totale all’hiphop e alle sue contaminazioni (si badi bene che comunque non si tratta di un’innovazione in senso lato, poiché l’hiphop è sempre stato propenso alla “profanazione” del suo sound).
Yeezus non è la perfezione che fu My Beautiful Dark Twisted Fantasy, forse a causa della mancanza di coesione corale e di una chiusura degna, quasi sicuramente perché le prime cinque tracce quella perfezione la raggiungono, ma la seconda tranche di canzoni (Blood On The Leaves esclusa, come già detto) non riesce a mantenerla così alta.
Ciò che è certo è che al giorno d’oggi Kanye Omari West può permettersi di concepire un album distaccandosi da ogni convenzione, dando libero sfogo alla sua vena creativa e fregandosene di tutto e tutti, focalizzando l’attenzione su di sé e sulle sue idee.
Lo si ami o lo si odi, la verità è che Kanye Omari West rappresenta una delle figure più importanti dell’hiphop (e della musica) dell’ultimo decennio.
Tracce consigliate: Blood On The Leaves, Hold My Liquor, New Slaves.