C’è stato un momento in cui Kacy Hill si è messa a cercare offerte di lavoro nelle aziende vinicole della Napa Valley su Linkedin: quella era la sua unica skill, ha raccontato. Eppure l’ex modella dell’Arizona, tra il 2017 e il 2018, era considerata dagli addetti ai lavori una delle next big thing. Kacy è la protetta di Kanye West, il quale l’ha trasformata da ballerina (per il celebre Yeezus Tour) in astro nascente del pop/R&B prendendosela anche nella sua G.O.O.D. Music – etichetta che ha prodotto il suo debut album Like A Woman, un mezzo flop.

Ne è seguito un periodo interlocutorio fatto di domande e di decisioni coraggiose del tipo “sono felice?“, “ok, finiamola qui!“, che hanno portato alla realizzazione in solitaria del suo secondo album Is it Selfish If We Talk About Me Again, un lavoro che ruota completamente intorno a queste pensieri (spesso camuffati nei testi da problemi amorosi) e che risponde solo all’esigenza sentita da Kacy di non dover essere plasmata da nessuno e, più banalmente, di fare quello che vuole.

E così ha fatto, spingendo il dito sul tasto reset e auto-producendosi un album che non ha assecondato alcuna richiesta di coolness e che non la ha obbligata a tenere contemporaneamente un occhio sulle sonorità e l’altro sui bilanci della discografica. Sulla produzione c’è da fare comunque un piccolo inciso: insieme a lei hanno lavorato Francis and the Lights, BJ Burton e Jim-E Stack che a vario titolo si trovano in mezzo ai credits di Chance The Rapper, Empress Of, Bon Iver e Charli XCX e che hanno contribuito a tirare fuori il concept (ancora) dormiente dell’artista, partendo esclusivamente dalle sue idee.

Musicalmente si guarda molto al passato come da prassi, specialmente nella parte iniziale, dove tra riverberi di batteria e atmosfere sensuali sembra di rivivere un film tardo anni ’80 con Phil Collins che suona al piano bar e che mettono in evidenza – specialmente in Much Higher – il substrato retrò che ha ispirato il lavoro. Anzi, proprio in Much Higher si leggono i passaggi fondamentali del percorso di crescita che ha affrontato nell’ultimo biennio, anche se persiste questo senso di inadeguatezza che alla lunga è estremamente logorante:

Is it selfish if we talk about me again?
There’s this big dream where I’m singing to you and then
We walk home and I’m crying in Phoenix and
There’s this time but I’ve gotta get over it

L’album è infatti un concentrato di pensieri introspettivi che però – come tutte le cose – quando sfuggono al controllo aggiungono nuovi problemi, invece di risolvere quelli già presenti. Come nel caso di Porsche – banger clamorosa del disco – dominata da un falsetto morbidissimo che, nella sostanza, vuole dirci di stare tutti molto più sereni. Nulla di trascendentale ma ha un certo piglio, specialmente dopo che leggi la sua storia.

Perché in fondo, Kacy è dolcissima nei modi in cui si manifesta al pubblico e con cui comunica concetti semplicissimi, ma è capace di dire anche cose coi controcazzi perché non dimentichiamo che dietro a questa dolcezza e  a queste fragilità c’è una donna che – facendola breve – ha preso da parte Kanye West e gli ha detto “grazie, ora faccio da sola“. E va da sé che queste sono le classiche situazioni che alzano notevolmente il grado di maturità e di autostima, ma sono anche delle sliding doors molto pericolose che fanno sentire soli ed incompresi.

Come quando leggi il testo di un’altra hit dell’album, Everybody’s Mother, e magari sei in mezzo a qualche situazione surreale dalla quale non puoi sfuggire e vorresti solo chiuderti al cesso con una scusa e mandarle un messaggino chiedendole semplicemente come sta.

Been givin’ too much to feel lonely lately
I think that I care more than you do, maybe
I’m everybody’s mother and nobody’s baby

Is it Selfish If We Talk About Me Again non si limita a rievocare i suoni ed atmosfere vintage e crea un concept completamente personale e minimale che spinge verso quello che è stato definito pop del nuovo decennio sulla scia di Charlie XCX, Caroline Polacheck, o Sophie che hanno costruito la loro carriera sulle spalle dell’evoluzione del R&B. Ma anche se il decennio è finito, Kacy Hill sa portare elementi di novità che non la fanno apparire come quella che arriva troppo tardi.

Se vogliamo, però, è un album che non esplode del tutto. Pur portando una varietà non usuale in questo genere di lavori (I Believe in You, Just To Say, Palladium) Kacy Hill rimane sul trampolino dei dieci metri, senza buttarsi mai, anche se il salto più coraggioso e più grande lo ha già fatto tempo fa, quando ha finalmente capito di avere un sacco di altre skills oltre a quelle che l’avrebbero portata a coltivare la vite in California.

Tracce consigliate: Much Higher, Porsche, Everybody’s Mother