Italiani pizza mandolino sculettamenti. I recenti sviluppi dell’elettronica tricolore spazzano via definitivamente ogni preconcetto sulla difficoltà di percezione delle produzioni italiane all’estero, e Fabrizio Martina provvede a smascherare anche la più radicata delle ottusità, vale a dire l’idea che la lingua sia un grosso ostacolo in tal senso. Perchè se il primo disco targato Jolly Mare nasce sotto l’ala della newyorkese Bastard Jazz è anche grazie a un brano che è essenzialmente modernariato nostrano: la verità è che gli anglofoni adorano la musicalità latina e spigliata dell’italiano, ed è il cantato di Lucia Manca in Hotel Riviera ad incuriosire Gilles Peterson, che manda il brano in onda su un’emittente inglese della BBC e gli procura il passaporto per Brooklyn.
Per questioni prettamente autobiografiche, da quando ho scoperto che Fabrizio Martina è uno che ha buttato nel cesso una laurea in ingegneria e si è messo a fare musica guardo al progetto Jolly Mare con rinnovata curiosità. Ok, “buttare nel cesso” è una brutta espressione, e a dirla tutta dopo l’ascolto di Mechanics finisce pure per risultare incorretta. I brani con cui Martina esordisce sono materia giustapposta in un rigoroso ordine di pesi e misure. I layer sono tanti e giungono dagli universi sonori più disparati, e infilati nel controller si stratificano a dovere fino a divenire impasto eclettico, ispirato ed elegante.
Dopo il training di Jolly Mare sui brani altrui, ad allenare quella capacità di subodorare le linee giuste da modellare in chiave clubbing (vedasi i “lifting” di Vasco Rossi e Pino Daniele), quella di Mechanics è tutta farina del suo sacco, di cui l’italo disco è solo lo strato più spesso e squillante. Temper corre sinuosa tra tropicalismi e intermittenze da ottovolante, Want You Bad, cinematografica sui synth piacioni anni ‘70, a rimpolpare la sfacciata sensualità da dancefloor dei sussurri di De La Montagne, la stessa che poi ci sorprende nel farsi malinconica, modulata in forma di ballad dal piano e dai vocalizzi soul di Crazy Bitch in a Cave in Broken Ceilings. I sei minuti di soft techno di Steam Engine incalzano sulle interferenze di un sottofondo ritmato e metallico che sa di processo industriale. Universe of Geometry è acid jazz direttamente dai 90’s, lanciato verso il futuro dalla propulsione dei beat, e chiude il disco un reprise del brano, breve ma eloquente, in cui la coda diviene una samba elettrificata che è una scossa di quaranta secondi e funziona ancora meglio, a sottendere le molte altre potenzialità di questa dance narrativa.
Dall’altra parte dell’oceano hanno da invidiarci molto più di quanto crediate.
Tracce consigliate: Temper, Steam Engine