Prima di tutto ho scoperto che Jaakko Eino Kalevi è un nome. Insomma il nome di una persona. Che è anche quello che canta e suona nei dischi, che nella vita reale fa il tramviere a Helsinki – faceva, ora vive a Berlino. Ho scoperto che Jaakko Eino Kalevi ha un blog che non aggiorna da un annetto buono. La sua unica pagina wikipedia è in finlandese e ci informa che il signorino qui sopra ha pubblicato tantissimo nella sua terra natale, tra EP ed LP, ma non ho capito niente altro. Qui però parliamo del suo salto di qualità, il nuovo disco Jaakko Eino Kalevi.

Non so se vorrei vivere negli strani mondi della musica di Jaakko Eino Kalevi. Tutto sembra accogliente ma allo stesso tempo straniante, eccessivamente fumoso, caramelloso, con i sintetizzatori divisi tra suoni grassi e pad atmosferici sognanti – qualcosa che richiama il suo album precedente, che si chiamava guardacaso Dreamzone. A questa sensazione di essere circondati dal mondo sonoro del finlandese ha contribuito forse il missaggio avvolgente di Nicolas Vernhes che già collaborava con i The War On Drugs e i Run The Jewels. Ora il finlandese ha giocato la carta del self-titled perché si rende conto che questa di Jaakko Eino Kalevi può essere la sua occasione di sfondare e, sciocchezze a parte, pare se la sia giocata bene; la mano di Vernhes ha aiutato in questo senso, traducendo lo strano mondo dell’ex tramviere di Helsinki in qualcosa di più comprensibile a noi non-folletti della Scandinavia. Musicalmente e visivamente siamo abbastanza vicini al regno di Ariel Pink – più vicini di quel che si crede, visto che Jaakko (ormai siamo amici) dice di averci dormito insieme dopo un concerto ad Helsinki – anche se si parte da presupposti diversi. Insomma, parliamo di un dream pop psichedelico che sa titillare tutto ciò che sia weird, sgangherato nell’immaginario, ma attento e preciso, concentrato nei suoni. Può aver aiutato il fatto che Kalevi suona e scrive tutto per conto suo.

Jaakko canta in finlandese ogni tanto (inizia così, nella prima Jek), in inglese poi; in questi ultimi anni ha imparato da autodidatta a suonare il sassofono e lo suona spesso in Jaakko Eino Kalevi. La voce femminile che l’accompagna in quasi tutte le tracce è quella di Suad Khalifa. Ci accolgono fin da subito batteria e synth analogici, voci riverberate pastosissime, arpeggiatori rapidi in modalità on. Nel singolone Deeper Shadows il sintetizzatore di per sé esegue un riff semplice eppure irresistibile, ma è il filtro che si apre e si chiude – sopra quel flauto sintetico – che ha un che di sensuale e ipnotico a dare un tono, un sapore peculiare al pezzo. Dopo altri ottimi pezzi perfettamente a tono col tenore di Jaakko Eino Kalevi (Say, Don’t Ask Me Why) partono le atmosfere lievemente smooth jazz di Room e (non sentite che fa già più caldo?) ci si rilassa in attesa del dittico conclusivo. Il giro appena funk di Hush Down ci traghetta senza pesare verso l’epilogo; degno di nota è anche l’accenno di blast beat della finale, fantastica Ikuinen Purkautumaton Jännite (la voce femminile qui è di Sonja Immonen) che chiude in una cavalcata pacchiana tutto il disco a colpi di sassofono in delay.

Sembra che dentro ci siano un sacco di buone idee, ma proprio tante, e non siano buttate lì a casaccio. Per quanto come disco non sia la cosa più geniale che ascolterete quest’anno, Jaakko Eino Kalevi è un bel disco pop; ha una sua coerenza interna, uno stile visionario e al tempo stesso concreto nel songwriting quanto riconoscibile al volo che lascia presagire ampi margini di miglioramento, e noi stiamo qui ad aspettarli.

Tracce consigliate: Deeper Shadows, Ikuinen Purkautumaton Jännite