Søren Løkke Juul è un tipo alto e biondino che se siete stati almeno una volta a Copenaghen in questi ultimi anni avrete sicuramente preso a spallate involontarie nella grande ressa dei marciapiedi danesi. Un pedone danese come tanti con una chitarra senza tracolla, un alto e biondino danese come tanti e pure musicista.

Un Biondino fortunato d’altro canto, che, con alle spalle una carriera da cantautore provincialperiferico, viene contattato direttamente dalla 4AD con la proposta di incidere un album e di fare una tournee in giro per il mondo che gli fa dire ok.
Il suo nome straniero di bellezze recondite e lavate di fresco viene così rimpiazzato col più popolare Indians, che sia ben chiaro, non lo ripeto più, pare sia stato scelto a caso leggendo i primi tre nomi propri su un libro d’avventura a pagina 28 (indians, windows, treasures); il che non rimanda affatto a nessuna relazione parentale con famiglie indiane pre-coloniali.

Il disco si chiama Somewhere Else e può essere facilmente accostato alle parole folktronic della mediocrità e mediocrità senza la parola folktronic; i soliti giri di chitarra o pianoforte, costellati da synth tutt’intorno, con la voce in falsetto e in primo piano che te la racconta un po’. L’album viene penalizzato in gran parte dalla produzione a tratti balzana e poco ricercata, attentissima ad aggiungere effetti che vanno di moda in maniera apparentemente casuale e col solo intento di pompare un artista che fino all’altro ieri era uno che faceva i video davanti al computer.
Poco male. Il disco, di facile e piacevole ascolto tutto sommato, resta comunque ingarbugliato coi lacci alle caviglie in un panorama già visto e sperimentato a sufficienza da almeno una decina d’anni diciamo.
Aggiungici un po’ di riverbero Søren Løkke.

Reccomended Track: Cakelakers