A detta di Michael C. Taylor, musicista che si cela dietro al moniker di Hiss Golden Messenger, i suoi album “sono metafora delle tappe della (sua ndr) vita” e possono essere interpretati in chiavi differenti dato che “la musica è soggettiva”.
Questo Haw in particolare contiene diversi spunti d’interpretazione, nonché opposte chiavi di lettura, che comunque mai cozzano l’una sull’altra ma che anzi contribuiscono ad ampliare la fascinosa aura di mistero che aleggia su queste undici tracce.

Dietro il legnoso folk americano, i coretti e gli handclap che rilasciano primavera nell’aria, si celano tematiche tutt’altro che superficiali e frivole. Il disco è intriso di riflessioni sulla religione e sulla spiritualità, un connubio di concretezza e trascendenza, le Sacre Scritture che incontrano l’aria bucolica d’oltreoceano come nella più antica delle tradizioni.
Nonostante le preghiere siano esplicite, “Oh Lord, make me be happy” (Red Rose Nantahala), così come le metafore bibliche, “Fisher of men, they call Him” (Busted Note) e The Serpent Is Kind (Compared To Man), occorre ricordare che Michael C. Tylor si professa ateo, ma in un certo qual modo attratto e affascinato dalla religione cristiana, parte integrante del folklore a stelle e strisce che ne ha accompagnato la crescita e la maturità.
Come già detto le sensazioni evocate da questo Haw sono molteplici e variopinte: si passa da singoli con una potenza pop che mai mi sarei aspettato (le già citate Red Rose Nantahala e Busted Note, quest’ultima con tanto di coretti gospel femminili) a pezzi più riflessivi (Sufferer, la struggente Devotion e Cheerwine Easter, le prime due con gli archi e l’ultima con gli ottoni che alzano preghiere al cielo), passando poi per atmosfere più propriamente roots (I’ve Got a Name for the Newborn Child e Sweet as John Hurts che molto profuma di Neil Young) e per divertissement strumentali (Hat of Rain, Hark Maker).
Cambia il mood ma non la ricerca sonora e la cura formale, cristalline in ogni singolo passaggio con orchestrazioni mai stucchevoli e arrangiamenti deliziosi, arricchiti molto spesso da suoni “naturali” (un cane che abbaia, vento tra le fronde, pioggia, grilli) che conferiscono al lavoro una valenza domestica molto marcata e affettiva.

Haw non scinde spiritualità e vita terrena, non lascia la prima ai pastori di chiesa e la seconda ai pastori di bestiame, è palese la contestualizzazione dell’anima e delle radici americane al giorno d’oggi, la rivalsa della quiete rurale sulla caotica frenesia delle metropoli.
Al centro di questo Haw c’è l’uomo con tutte le sue luci e le sue ombre, le sue (poche) certezze e le sue (molte) insicurezze, ma sempre e comunque con la consapevolezza d’esser vivo.

Tracce consigliate: Busted Note, Red Rose Nantahala.