A chi gli chiede che musica suona, Matthew Houck, cantante dei Phosphorescent, ieri rispondeva folk, ieri l’altro country, oggi dice di sperimentare, domani chissà.
Con una pretesa del genere, il rischio di tirare fuori dal calderone un prodotto incompleto o, ancor peggio, un’accozzaglia eterogenea d’influenze è davvero molto alto.
Fortunatamente questo non è il caso (sempre più in voga oggi) in cui il prefisso alt- davanti alle cose fa quadrare i conti salvando tutti in corner.
Che poi i Phosphorescent il country lo suonano, così come anche il folk, e un rimando alle radici vere, quelle americane, è più che sacrosanto e lungi dall’essere offensivo per coloro i quali si considerano puristi del genere. Ma l’atmosfera complessiva è ben altra.
Tutto è permeato da una sorta di intimo minimalismo e gli elementi, anche quelli meno tradizionali (synth, lap steel, elettronica), sono indissolubilmente legati dai sentimenti e dalla voce di Matthew, che, come un viandante, un Muchacho, racconta di pene d’amore e di gioie a un pubblico radunatoglisi attorno per caso.
Dopo l’invocazione/l’introduzione à la Fleet Foxes dell’opener, si palesano le sperimentazioni più evidenti: loop di basso e percussioni con delay sulle quali la Song For Zula è cantata dal nostro menestrello, le cui gentili strofe sono intermezzate da un violino dolceamaro; altro basso e altra batteria in ripetizione in Ride On/Right On, ma questa volta i sentimenti sono solari ed evidenziati da una chitarra distorta con wahwah. Terror in the Canyons (The Wounded Master) ha un ritornello che spezza, e se la chitarra acustica, il piano, gli archi e i fiati riportano il genere su binari più familiari, le percussioni elettroniche arricchiscono quella che altrimenti sarebbe stata una classica traccia country-folk.
Scivolando poi nella seconda parte dell’album gli “sperimentalismi” si vanno affievolendo e le atmosfere addolcendo. Il piano di A New Anhedonia farebbe commuovere anche Perfume Genius, i cori e il climax di The Quotidian Beasts risollevano il clima mentre Down To Go, tutta pianoforte e archi, ci introduce alla conclusione a cappella di Sun’s Arising, che riprende l’intro in maniera circolare.
I paragoni ai vari Wilco, Calexico e Fleet Foxes si sprecano, facendo però perdere di vista la sincerità di un lavoro che vede nel Matthew Hauck uomo, prima che artista, il principale fautore. Un alternarsi di gioie e momenti bui, un susseguirsi di songwriting sempre degno di un giudizio positivo e di idee valide che comunque non sradicano le radici da cui provengono.
Un compromesso tra tradizione e innovazione che risuonerà nelle nostre orecchie anche quando il Muchacho se ne sarà andato, apparendo ormai come un puntino all’orizzonte.
Tracce consigliate: A New Anhedonia, Ride On/Right On