Oh no, non di nuovo
è sicuramente il pensiero persistente che fa da sfondo all’ascolto dell’ultimo disco di Gus Dapperton, Orca.
Non di nuovo, perché la sensazione è di rivivere un dejà vu, avuto con tanti artisti che si perdono alla seconda pubblicazione ufficiale. Purtroppo è anche questo il caso, nonostante il primo disco Where Polly People Go To Read avesse fondamentalmente solo buttato le basi, senza stupire più di tanto, ma alzando comunque un certo minimo d’interesse intorno all’artista. Tutte le aspettative muoiono, ora, abbastanza presto, dopo il terzo brano, con First Aid unico paladino ancora in piedi di un esercito morto forse ancor prima della battaglia.
I brani sono piatti, omologati, riuniti sotto lo stesso comune denominatore e ridotti a qualche giro di chitarra e poco più. Nonostante l’artista voglia far trasparire la sua essenza, il tutto appare inutilmente più criptico del dovuto, mischiato al tema persistente della depressione che traspare nemmeno troppo velatamente in Swan Song, ad esempio.
Bluebird sembra aver preso le cose peggiori degli ultimi The 1975 per combinarle assieme, annoiando nonostante il crescendo della base nella seconda parte del pezzo e riflettendo quello che si dice sempre: proporre lo stesso beat, auto-classificandosi nel grande calderone del dream pop per sentirsi più alternative di quanto non si sia è la mossa più sbagliata possibile, vista la produzione massiva che da cinque-sei anni a questa parte riempie qualunque playlist con la stessa, identica, minestra.
L’ovvio obiettivo di cercare la vitalità, da perpetrare senza doversi nascondere, non può solo passare dal personaggio che si decide di assumere ed i grandi sbadigli che si collezionano ascoltando Orca non sono esattamente l’effetto da sortire se si vuole sfondare nel marasma della fast-food music. Probabilmente il desiderio di arrivare al pubblico tramite il metodo più rapido, arma a doppio taglio, si è rivelata troppo affilata dalla parte di Gus Dapperton, facendo più male del dovuto sia allo stesso autore sia a chi nutriva qualche speranza in questo disco auto-prodotto.
Non è di certo totalmente da bocciare al secondo disco, ma di sicuro la curva sul piano cartesiano della carriera del cantante nativo di Warwick, New York ha subito una notevole flessione verso il basso. Ritornare ai livelli di Yellow and Such, EP del 2017 di cui avevamo parlato qui, potrebbe essere un ‘colpo di coda’ possibile, con la consapevolezza e la crescita maturata nei due progetti ufficiali successivi.
Talvolta passare dal via è l’unico modo per far fruttare ciò che si è guadagnato.