Vero inizia con una frase (“sono talmente G che la mia posta è GMail“) che suona come una dichiarazione d’intenti, uno spartiacque tra chi è capace di apprezzare un certo tipo di attitudine e di scrittura e chi invece ha almeno un diploma.
Vero ha il titolo di un giornale scandalistico e contenuti dello stesso livello, in un mischione di frasi casuali e sconnesse; prendendo ad esempio Voodoo (uno dei pezzi meno brutti dell’album, soprattutto per il fatto di avere uno dei pochi ritornelli non stonati) si sentono cose come “schiavi di questo Occidente, il materialismo ci offusca la mente. Mi sembra evidente che puttana sei, puttana ci resti per sempre“, “sei troppo ghetto, per un fighetto, hai stile a letto, fuori stiletto” per concludersi con “ricorda che il materiale più raro e quello più prezioso è sempre il materiale umano, togli quegli spilli, seh“. Ma anche “ti guardo infame e sai che non c’entra il rap, e tua madre è una puttana come in Blow con Johnny Depp, resti un uomo di merda” che per un uomo di trentaquattro anni suona piuttosto stupido. Purtroppo non mi è concesso trascrivere tutti i testi ma il livello è questo.
Vero è l’album di un rapper che per undici pezzi su diciannove canta (male tra l’altro), in sei parla di amore e in due di tipe che non si vuole scopare (questo è assolutamente il tema più interessante), mentre si proclama re del flow, imprenditore, boss. No dico, boss. Delle tracce cantate, Oro e Diamanti ha una sola strofa (quaranta secondi) rappata e tutto il resto è canto/filastrocca, Nouveau Riche neanche quella ma si solleva grazie al feat. di Bello Figo Gu nel ritornello (anche se non capisco perché non l’abbiano accreditato) e a frasi come “Italian rap icona, schiaccio una tipa sticchiona che c’ha la figa cicciona, mangio carpaccio ricciola“.
Vero contiene tracce dal titolo meraviglioso: Bosseggiando, Mollami, Miserabile e Pappone su tutte.
Vero è un album che copia spudoratamente la scena americana del 2012 a livello di sonorità e il pop italiano del 2015 per i testi.
Vero è il più brutto dei tre album solisti di Guè Pequeno, che finora era riuscito comunque a mantenersi ad un livello più alto che nei cd con i Club Dogo, costruendosi un personaggio da rapper-imprenditore (con la linea di abbigliamento Zen ad esempio) e rappando attorno al solito binomio soldi e donne – cash e figa, ok. Purtroppo alla lunga un immaginario simile diventa insostenibile e Guè si ritrova a grattare il fondo di un barile di liriche stantie e prive di qualunque appeal (“tu rappa scemo, io ficco“), cosa ancora più stucchevole considerando che ormai il rap italiano è riuscito ad emanciparsi dalla mentalità di nicchia in cui si era relegato fino a qualche anno fa e in cui anche rapper come Mecna, Ghemon o Salmo arrivano ad ascoltatori di fasce d’età molto basse senza però un’involuzione come quella che viene fuori da questo disco. Non c’è un’idea, uno spunto o qualcosa per cui valga la pena ascoltare questo disco, con tutta la roba ignorante che esce in America ogni giorno poi.

Traccia consigliata: Fuori Orario