Come per ogni forma d’arte, anche per la musica esistono momenti storici, fasi che influenzano la produzione artistica o che sono influenzate da essa. Un’osservazione non di poco conto, se si considera che l’ossessiva ricerca dell’innovazione è il fulcro attorno al quale ruota la vita di numerosi artisti.
Non sarà il caso di Foxes In Fiction, al secolo Warren Hildebrand, che dell’innovazione probabilmente se ne infischia, ma che al contempo è in grado di riprendere suoni che i detrattori potrebbero definire vecchi e superati – e se si guardano le uscite di quest’anno potremmo anche dargli ragione -, rendendoli piacevolissimi, grazie a una profonda semplicità estetica che, contrariamente a quanto si possa pensare, si traduce in originalità.

Mi spiego: se Ontario Gothic, sua ultima fatica, fosse stato partorito durante il remoto e preistorico 2012, probabilmente in questo momento staremmo parlando di uno degli album papabili al tanto agognato titolo di disco dell’anno. E invece no, l’anno in corso è un altro ed è caratterizzato da una produzione e da suoni di tutt’altro tipo. Elementi che però non stroncano affatto il lavoro di Warren, perché un lavoro così bello e genuino, anche se evidentemente anacronistico, non può essere stroncato.
Ontario Gothic è difficilmente riconducibile a un semplice genere musicale; riprendendo una definizione data dallo stesso Hildebrand al suo lavoro musicale, può essere definito come paradigma del suo Healing Pop. Un pop “terapeutico”, al quale ha messo mano per la prima volta nel 2010 col suo debut Swung from The Branches, e che spazia tra dream pop, ambient, venature shoegaze, arricchiti con suoni loopati atti a dipingere e ritrarre dimensioni trascendentali nelle quali, manco a dirlo, viene impossibile non immergersi.

Non facciamoci ingannare dalla traccia di apertura del disco, March 2011, che potrebbe lasciarci pensare a un disco quasi interamente ambient. Un brano per certi versi molto vicino al suono degli Album Leaf e non troppo lontano da quello che poi sarà poi il leit-motiv di Ontario Gothic, palesato nella seconda traccia, Into The Fields, una vera e propria perla: una tastiera loopata per tutta la durata del brano, accompagnata da un’affascinante chitarra, dei vocals profondi e sognatori, un giro di basso semplicissimo e il violino; non un violino qualsiasi, dato che questo disco ha visto la collaborazione di un giovanotto che di nome fa Owen Pallett, non di certo l’ultimo arrivato. Ad ogni modo, l’accostamento ai Beach House viene quasi spontaneo, in più parti del disco a dire il vero. La Lazuliana title track del disco, quinto brano in tracklist, è forse il momento più alto dell’intero lavoro, al pari di Into The Fields: anche qui, viene riproposta la stessa ricetta vincente, un’escursione tra territori mistici e sublimi, accompagnati da un purissimo dream pop, che ha come meta la sesta traccia, Amanda, un drone di due minuti scarsi, messo lì quasi con l’intento di purificare l’ascoltatore dopo l’iter compiuto nella traccia precedente.
Nel cuore dell’album, composto da soli 7 brani, ritroviamo invece Glow (V079) e Shadow’s Song: la prima, forse la traccia più ”movimentata” del disco, per certi versi una chiara reminiscenza dell’apprezzabilissimo lavoro svolto da Bradford Cox in Logos; la seconda, invece, una traccia introspettiva ed emotiva, sia nel suono che nel testo. E non dimentichiamo che proprio in questo brano compare in maniera assai più evidente il tocco di Owen Pallett, che con il suo violino, si sa, riesce sempre a fare magie. Il risultato, anche in questo caso, è semplicemente pregevole.
Ontario Gothic si conclude con Altars, altro brano catchy che ripete i canoni espressi fino a questo momento, con una struttura malinconica e funzionale alla sua posizione in tracklist. Nulla di eccezionale, per carità, ma anche in questo caso parliamo di un brano assolutamente ascoltabilissimo e ben riuscito.

Ontario Gothic, comunque, ha il significativo pregio di aver reso attuali suoni che forse, negli ultimi due anni, avevamo dimenticato di apprezzare. Senza troppi fronzoli e senza pesanti e inopportune rivisitazioni, facendo della semplicità e dell’essenzialità l’anima del suo lavoro, Foxes In Fiction ci ha presi per mano e riportati davanti all’abbagliante sontuosità del dream pop.
Si parlava di tempo e di anacronismo, vero: Ontario Gothic è forse il disco giusto nel momento sbagliato. Ecco perché, pur non essendo un disco vincente, non verrà dimenticato. Dopotutto, quello di tempo è pur sempre un concetto relativo.

Tracce consigliate: Ontario Gothic, Into The Fields.