fatima-al-qEtichetta: Hyperdub
Anno: 2014

Simile a:
Nguzunguzu – Skycell
Oneohtrix Point Never – R Plus Seven
Omar Souleyman – Wenu Wenu

C’è chi pensa che nella musica il contesto sia tutto, chi invece pensa che dovrebbe essere lasciato il più possibile da parte. È un dibattito interessante, ma che non ha senso fare quando si parla di Fatima Al Qadiri. Avvicinarsi a quest’album senza sapere nulla della persona, della sua storia e delle sue teorie vuol dire rinunciare implicitamente alla possibilità di apprezzarlo.

Fatima Al Qadiri è un’artista quasi apolide: è nata in Senegal, è cresciuta in Kuwait durante l’invasione dell’Iraq ma con un’educazione fortemente occidentalizzata, si è trasferita in Europa girando diversi paesi per poi approdare dall’altra parte dell’oceano, a New York, dove attualmente vive.

Fondamentale, in tutta la sua esperienza, è stata l’esposizione durante la sua infanzia non solo a realtà profondamente diverse tra loro, ma anche a un’infinità di stimoli mediatici provenienti da tutto il mondo. Fatima dichiara infatti di essersi nutrita fin da piccola di tutti gli immaginari che le culture pop di ogni angolo del mondo – veicolate da canali Tv,  telefilm e videogiochi – facevano entrare nella sua casa di benestante bambina kuwaitiana.

Tutto questo materiale è diventato poi il fulcro della sua arte, dove troviamo fuse esperienze personali, influenze delle diverse culture con cui è entrata in contatto, stereotipi mass-mediali, mondi reali e mondi immaginari.

Questo succede nei suoi lavori precedenti, come Desert Strike EP, dove l’ispirazione nasce dall’esperienza (immagino piuttosto disturbante) del giocare ai videogiochi sotto le sirene d’allarme durante l’attacco iracheno in Kuwait, così come in questo album, in cui invece la ricerca artistica la porta (e ci porta) in un luogo che non esiste, una Cina vista da qualcuno che in Cina non è mai stato, ma che ci è entrato in contatto solo tramite la distorsione della sua cultura operata dai media e dalla visione storica occidentale.

Asiatisch è quindi un’opera in cui troviamo melodie, suggestioni, tropi musicali che noi, dal nostro punto di vista euro-americano, consideriamo tipicamente cinesi, mischiati a basi elettroniche, algide e fredde, perfettamente inserite nella scena musicale attuale (da Nguzunguzu, con cui Fatima ha infatti collaborato, all’hypnagogic). Il risultato è straniante, l’approdo è un non-luogo di tipologia ben diversa da quelli intesi nell’accezione ormai classica del termine, non un ambiente di omologazione e standardizzazione ma di ibridazione, angoscia e inquietudine. Perché è vera inquietudine quella che emanano pezzi come Shanzai, dove Fatima rielabora in un mandarino inventato una irriconoscibile Nothing Compares 2 U, o le strane litanie di Dragon Tattoo, di Loading Beijing, o ancora di Shenzen.

Sicuramente Asiatisch non è un album facile, e neanche da consigliare a tutti: richiede un minimo d’impegno non solo nell’ascolto, ma anche, come detto, nella sua contestualizzazione. E se in questo oriente posticcio immaginato da Fatima in molti potrebbero non sentirsi a loro agio, per altri invece potrebbe invece rivelarsi un luogo pieno di fascino. Anche se indubbiamente piuttosto sinistro.

Tracce consigliate: Shanzai, Dragon Tattoo.